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Patrimoniale no:esonera dalle riforme e fa sprecare denaro

“Inevitabile”. Quando si muovono critiche a una delle tante varianti di imposta patrimoniale – ultima arrivata quella del “prelievo forzoso” di littoriana memoria- ci si sente rispondere che sì, gli argomenti sono giusti, ma anche inutili, perché la patrimoniale ormai è “inevitabile”. Ma è proprio se tutti la pensano inevitabile, che non sarà evitata: chi respinge le critiche fa dunque un ragionamento analogo a quello che i logici chiamano performativo, per cui ciò che si afferma si verifica.
Inevitabile? Eppure non ce la chiede nessuno: non la BCE, non la Commissione europea, non le agenzie di rating; e del mitico 60% dello “stupido” Maastricht nessuno Stato è oggi in grado di parlare. Ci controllano sul deficit, si interrogano sulla nostra capacità di crescere, su quanto avanzo primario siamo in grado di fare: nessuno ci chiede il “colpo secco” al debito. Per mettere un po’ d’ordine nella crisi dell’euro, la BCE deve prima di tutto tenere ben distinti i Paesi che hanno problemi di solvibilità, da quelli che hanno problemi di liquidità, come l’Italia: se lo dice anche l’Economist, saremo proprio noi a dire che non è così, che i nostri problemi non sono di flusso ma di stock, e che vogliamo essere annoverati tra i paesi insolventi?
Se l’inevitabilità non è nei fatti, allora deve essere nel fato. La colpa individuale, di cui la patrimoniale sarebbe espiazione collettiva, è, per la sinistra, e per quanti sono ansiosi di posizionarsi in vista di una svolta a sinistra della politica italiana, l’avere tollerato per tanti anni Berlusconi. Dopo averci ripetuto tante volte che Berlusconi ha avvelenato la vita politica del paese, prodotto danni morali che solo il tempo e i sacrifici avrebbero potuto sanare, l’antiberlusconismo presenta il conto. La patrimoniale appare come ultimo regalo dell’antiberlusconismo prima della sua estinzione per abbandono del nemico. Ora è sicuramente vero che i “comportamenti indecorosi e le sorprendenti imprudenze” (Sergio Romano) del Cavaliere hanno arrecato ulteriore danno a una credibilità già lesa dall’inazione del Governo: ma quale è il meccanismo per cui, se gli italiani dànno alla patria una parte del loro patrimonio, si colma la perdita di credibilità di un premier? Forse che il sacrificio dei contribuenti compensa per il passato e garantisce per il futuro comportamenti più dignitosi di chi ha ruoli istituzionali?
Quello che mercati e governi ci chiedono è di imboccare un percorso credibile di crescita; e questo significa metter mano al ben noto elenco di riforme, essenzialmente liberalizzazioni e tagli di spesa pubblica. La patrimoniale fa esattamente il contrario. Non serve alla crescita, dato che, si tratti di consumare o di investire, le decisioni dei privati sono più efficienti di quelle fatte dallo Stato. Deprime il valore di beni mobili e immobili, dato che chi li possiede dovrà venderne una parte per pagare la patrimoniale. Riduce la pressione sul Governo per attuare le riforme: l’abbiamo constatato anche nelle ultime manovre, se non c’erano Merkel e mercati, chi gliele faceva fare al Governo una dopo l’altra le stazioni di quella Via Crucis? Fornisce al Governo danaro fresco da sprecare, come è avvenuto per i proventi delle privatizzazioni degli anni Novanta: per i primi cinque anni sono serviti a ridurre il debito dal 117 al 107%, nel decennio successivo i Governi se li sono mangiati per aumentare la spesa pubblica. E oggi siamo al 118%.
E’ paradossale che per porre rimedio a una crisi dovuta a carenza di risparmio si voglia tassare proprio il risparmio; che per fare una politica di crescita basata sulla competitività , che richiede di investire più capitale, si proponga di porre imposte sul capitale; che per incentivare la vendita di patrimonio mobiliare e di aziende pubbliche, si prospetti ai potenziali acquirenti il rischio di pagarci sopra un’imposta; e che si deprima il valore di ciò che si vuole alienare preannunciando che il suo valore di mercato sarà intaccato da una patrimoniale.
Inevitabile la patrimoniale lo diventa solo per evitare ciò che si dovrebbe, ma non si vuole fare: le dismissioni di patrimonio pubblico, le riforme, soprattutto quelle “a costo zero”, costano consenso. Perché toccano interessi di specifiche categorie organizzate: che siano pensionati o pubblico impiego, aziende municipali o imprese sussidiate, ordini professionali o casta politica. Invece sul tassare i patrimoni dei ricchi si possono mettere d’accordo quasi tutti, perfino alcuni ricchi in cerca di popolarità. Popolarità forse neppure così costosa: perché, mentre si hanno informazioni globali sulla totalità dei patrimoni privati, non si dispone di quelle sul reddito dei ricchi derivante dai patrimoni. Basta fare quattro conti (li fa Francesco Forte sul Foglio del 23 Settembre) per vedere che, per raccogliere gli importi atti a ridurre significativamente il nostro debito, si finirebbe per tassare il ceto medio: i soliti polli da spennare.
Non richiesta da nessuno, dannosa per crescere, pretesto per non tagliare, apparentemente equa, in realtà iniqua: un’occasione così per farsi male da soli non si ripresenta sovente. Inevitabile? Imperdibile.

Fonte: Il Sole 24 Ore del 25 settembre 2011

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