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Pagamenti sempre più in ritardo.”Ora un garante come in Francia”

Si chiama Jean-Claude Volot e per i Piccoli fornitori e subfornitori italiani è un mito. Monsieur Volot nel 2010 è stato nominato da Nicolas Sarzoky «mediatore della subfornitura», nella sostanza è stato incaricato dall’ Eliseo di difendere le piccole-medie vessate dalle grandi che ritardano i pagamenti di fornitura. Volot è partito da lì poi ha esteso la sua azione alla proprietà intellettuale e all’ acquisto di servizi. Il caso francese è unico in Europa e per noi italiani rappresenta un benchmark. Soprattutto in una fase di ripresa incerta chi rischia di saltare sono proprio loro, i fornitori, l’ anello debole del sistema, coloro che hanno minore potere negoziale e che quando chiudono non se ne accorge nessuno. Accusa Giorgio Guerrini, portavoce di Rete Imprese Italia: «Nonostante tutte le chiacchiere i tempi di pagamento della pubblica amministrazione e delle grandi imprese non si sono accorciati. Per cui sono favorevolissimo a istituire anche in Italia la figura del garante dei fornitori». Una struttura semplice, senza bardature burocratiche, aggiunge Guerrini, «ma che abbia la possibilità di comminare sanzioni». D’ accordo sull’ ipotesi di un Volot italiano è anche Raffaello Vignali, parlamentare del Pdl e consigliere per le Pmi del ministro Paolo Romani. «Sono assolutamente favorevole. E non a caso nella proposta di Statuto d’ impresa, in discussione in Parlamento, abbiamo previsto l’ allargamento dei poteri dell’ Antitrust per ciò che riguarda l’ abuso di posizione dominante relativa». Il mondo della fornitura sta attraversando un momento di transizione, aperto a tutti gli esiti. Persino in una situazione aggregata come Lecco nel solo 2010 ci sono stati 85 fallimenti, quando negli anni precedenti si raggiungeva al massimo la decina. A giudizio di Vignali un 20-25% sta evolvendo, da fornitore diventa partner della grande azienda. Il grosso, diciamo un 50% «invece sta lì e avrebbe bisogno di un deciso passo avanti». E infine un 25% ha già chiuso o comunque rischia fortemente di farlo nei prossimi mesi. In attesa di Volot alcune cose si possono comunque fare. Vignali ne indica due innanzitutto: sostenere l’ innovazione e ricostruire le filiere. «In India i fornitori ci possono andare se la grande impresa ha interesse a portarseli dietro». In Italia il sistema della fornitura è così parcellizzato che manca una esauriente mappatura delle competenze. Le Camere di Commercio dovrebbero fare di più e si dovrebbe trovare il modo di usare il prossimo censimento per raccogliere le informazioni giuste. I territori e la crisi Un test interessante per leggere l’ oroscopo delle micro-imprese che lavorano conto terzi è «Fornitore offresi», la manifestazione che si tiene a Lariofiere, alle porte di Lecco. Quest’ anno gli espositori hanno superato quota 300 e l’ atmosfera che si respira nei saloni non è di depressione. Ma si sa che il lecchese è un territorio d’ eccellenza, qui più che altrove i fornitori si sono strutturati in gruppi e reti d’ impresa. Il caso-guida si chiama Men at work, un’ esperienza nata in un ristorante di Lecco che raggruppa 23 aziende in prevalenza meccaniche. «Si dice sempre che le gente del lago, i laghee, è poco aperta e invece noi abbiamo dimostrato di essere un pò emiliani. Cooperiamo» racconta Alberto Magatti, uno dei promotori. Dopo la sua nel distretto sono nate altre esperienze: il Pib (progetto innovazione e business), il gruppo Semplicemente Insieme, il Consorzio Lariano e l’ alleanza che sta per nascere tra Colico, Maroni e Melesi, tre Piccoli della meccanica che hanno scoperto di essere complementari. Gli uomini di Magatti sono più avanti e sono loro che vanno a tastare il polso della grande azienda. Sempre con il metodo della cena al ristorante (stavolta Il Griso) invitano ogni volta 5 aziende potenziali clienti e spiegano loro «il ventaglio di soluzioni che siamo in grado di fornire loro». Con questo metodo hanno cominciato a parlare con la Fiocchi, la Galbusera, la Icam, le aziende più blasonate del territorio. Mettendosi insieme i Men at work hanno avuto un incremento di fatturato del 20% e stanno valutando l’ idea di scambiarsi anche il personale per mettere l’ uomo giusto al posto giusto. «Tutto sarebbe più facile – commenta Magatti – se il contratto di rete non avesse dei buchi giuridici e regolamentari. Almeno quello da Roma potrebbero metterlo a posto». I bravi fornitori vanno avanti da soli, ma gli altri? Un rimbalzo di fatturato c’ è stato ma «gli altri» non sanno ancora se riusciranno a mantenere tutti gli addetti che avevano. Finora la cassa integrazione ha evitato scelte dolorose, ma è opinione comune che a giugno 2011 quando gli ammortizzatori sociali saranno arrivati a fine corsa, «non tutti quelli che sono in Cassa rientreranno». Le aziende della subfornitura dovrebbero essere le prime ad aggregarsi ma purtroppo l’ individualismo è tardo a morire e come dice Riccardo Bonaiti, presidente dell’ Api di Lecco «è una prospettiva che ci dobbiamo tenere per i tempi lunghi». Nel frattempo le associazioni del territorio si stanno muovendo per mettere in comunicazioni le grandi aziende della meccanica o dell’ arredo bagno con i fornitori della zona. Sostiene Giovanni Pastorino, coordinatore del distretto, che la via giusta è portare in fiera i buyer internazionali («un pò come si fa nella moda»). Un esperimento è in corso con i tedeschi e un incontro si è tenuto tra una delegazione della Camera di Commercio di Francoforte e 50 aziende lombarde. Politica industriale Appartengono al mondo della fornitura anche i promotori di Imprese che resistono (Icr), il comitato spontaneo nato nel Cuneese e guidato da Luca Peotta. Ieri a Moretta Icr ha organizzato un’ assemblea per sostenere la proposta di legge Misiani-Beltrandi, presentata in Parlamento per rafforzare le ragioni del Piccoli. Per le aziende piemontesi la situazione è meno rosea che nel lecchese, molte sono ancora in bilico tra ripresa e chiusura. La vox populi racconta una storia istruttiva. Pare che si sia presentato in Piemonte un gruppo di arabi per comprare 10 mila trattori per l’ agricoltura, ma – si dice – che non abbiano trovato in zona aziende in grado di garantire quella produzione, né da sole né aggregandosi. Così la commessa sarebbe finita nella vicina Francia, dove non sono andati tanto per il sottile e pur di portare a casa commessa e lavoro hanno accorpato cinque piccole/medie aziende di trattori. Che la storia sia totalmente vera oppure no è tutto sommato un dettaglio, che i Piccoli ci credano e imprechino contro la mancanza di una politica industriale dal basso, capace di non far perdere occasioni importanti, è la realtà. Paolo Preti è il responsabile della Cna Produzione dell’ Emilia Romagna e non è ottimista come Vignali: «C’ è sovrabbondanza di offerta, sono in tanti sul territorio che fanno le stesse cose, la tornitura, la fresatura». A suo dire i fornitori che sono stati capaci di diventare partner delle grandi aziende, gestori di parti delle commesse, toccano al massimo il 10%. Tra loro c’ è chi ha cominciato a fare progettazione, ha agganciato il committente ed è andato all’ estero con lui. «Queste aziende sono salve». Il grosso invece «non riesce a dotarsi di una politica di ricerca dei clienti, fa fatica persino ad andare alle fiere». In Emilia Romagna l’ artigianato metalmeccanico nel 2009 ha visto chiudere 500 aziende su 6.900 e ha perso 2.600 addetti su 38.600 di partenza. «Bisogna tener presente che ci sono ancora tantissime imprese di prima generazione nate con gli anni 70 ed è normale che quegli imprenditori pensino più alla pensione che a fare nuovi investimenti». Molto quindi dipende dalla politiche della grandi aziende, Preti cita l’ esempio virtuoso della Gd (Seragnoli) che si è messa in rete con piccole aziende del bolognese e ha costruito insieme una fabbrica in Romania. Oppure il caso della Ima che ha comprato i suoi fornitori di primo livello e grazie alle competenze incamerate si è spinta sulla via dell’ export. Ma torniamo al punto decisivo: per evitare che a fronte di pochi casi di eccellenza si registri una drastica selezione darwiniana cosa bisogna fare? «La subfornitura si deve mettere in rete – risponde Preti -. Dovevamo farlo già nel 2000, oggi è più difficile ma non c’ è alternativa». Poi una volta messisi in rete bisogna avere la capacità di legare la filiera al committente finale. «E senza scandalizzarsi va formalizzato un rapporto di gerarchia che comunque esiste».

Fonte: Corriere della sera 1 febbraio 2011

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