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Obama:”Il Pacifico è la nostra priorità”

Manifesto del presidente per il «secolo asiatico». Rabbia e sconcerto di Pechino.La promessa Usa.L’America garantirà la sicurezza degli alleati, «condizione di base per la pace e la prosperità» E la risposta cinese Gli Usa sviluppino pure le loro alleanze militari, «rispettando però gli interessi degli altri Paesi»
«Chiuso un decennio segnato da due guerre sanguinose e costose – con gli ultimi soldati americani che stanno lasciando l’ Iraq e il processo di transizione responsabile ormai avviato in Afghanistan – come presidente degli Stati Uniti ho preso la decisione strategica di rilanciare il ruolo americano nell’ area dell’ Asia Orientale e del Pacifico. Qui è il futuro: un bacino che, attraverso l’ Oceano, già oggi contribuisce per più del 50% all’ economia mondiale. Gli Stati Uniti concentreranno qui i loro sforzi per ridefinire la regione e il suo futuro sulla base dei principi che gli sono propri e che sono sostenuti anche da alleati e amici». E’ già da un anno – dal suo primo viaggio asiatico attraverso India, Indonesia, Corea e Giappone nel novembre scorso – che Barack Obama mostra di voler spostare il pendolo dell’ attenzione Usa verso quest’ area del mondo. Ma col discorso pronunciato davanti al Parlamento australiano, a Canberra, e quello in una base del’ aeronautica militare a Darwin, il presidente l’ altra sera ha compiuto un deciso salto di qualità. Chi, anche a Pechino, aveva giudicato le sortite precedenti poco più che esibizioni di muscoli di una potenza in difficoltà, ora rimane interdetto dalla veemenza di Obama. Che, dopo aver sfidato la Cina promuovendo un’ area di libero scambio transpacifica che la esclude, giovedì si è impegnato a garantire la sicurezza dei suoi alleati in questa regione perché «la sicurezza è la condizione di base per la pace e la prosperità». E poi è andato a Bali a partecipare (prima volta per un presidente Usa) all’ Asean: il vertice di quei Paesi dell’ Asia sudorientale che Pechino giudica il suo principale bacino di interessi. Oltre a «battezzare» il distacco di 2.500 marines a Darwin (prima presenza militare permanente degli Usa in Australia), il presidente ha promesso un rafforzamento del dispositivo militare Usa nell’ area e ha sottolineato con forza che qualunque riduzione della spesa militare del Pentagono che verrà decisa per esigenze di bilancio, non riguarderà l’ area del Pacifico. La sfida a Pechino è chiara, anche se Obama ha detto di voler rilanciare anche il dialogo con la Cina a patto che questo Paese rispetti le «regole del gioco» come fanno gli altri partner e si comporti da «potenza responsabile». E, infatti, nella capitale del gigante asiatico già regna lo sconcerto. Analisti politici ed economici sono stati subito messi al lavoro per capire cosa ha determinato un inasprimento dei toni di Washington che va molto al di là di quello che poteva essere atteso. E mentre l’ agenzia statale d’ informazioni Xinhua spiega, orgogliosa e pragmatica, che gli Usa vedono per la prima volta la loro egemonia minacciata da una nuova potenza emergente e reagiscono a modo loro, il Global Times , un giornale che appartiene al Partito comunista ma rispecchia gli umori della sua componente più nazionalista, denuncia un tentativo degli Usa di porre la Cina sotto assedio: «La base di Darwin fa parte di una strategia Usa di accerchiamento della Cina da Nord e da Sud» dice un generale interpellato dal Global Times . Il giornale poi chiede la sospensione dell’ acquisto di titoli del Tesoro Usa da parte cinese: perché contribuire al calo dei tassi d’ interesse «di un Paese che cerca di indebolirci alimentando le forze a noi ostili»? Più prudenti le reazioni ufficiali del governo cinese. L’ insediamento militare a Darwin viene considerato un gesto ostile, ma il portavoce del ministro degli Esteri ammette che Australia e Stati Uniti hanno il diritto di rafforzare i legami reciproci come vogliono «ma nel rispetto degli interessi degli altri Paesi». Da oggi il governo cinese, che non ama esporsi con reazioni brusche, sembra comunque costretto sulla difensiva: rimane di gran lunga il più grande creditore degli Usa, ma il gigantesco interscambio tra le due economie (456 miliardi di dollari) si muove in gran parte dall’ Asia verso l’ America. Pechino non può rischiare. E Obama ha sostenuto con fermezza che, a sei anni dal suo ingresso nel sistema commerciale internazionale (un passo dal quale ha tratto enormi benefici), per la Cina è venuto il momento di rispettare davvero le leggi internazionali (norme anticontraffazioni, rispetto della proprietà intellettuale) e le regole di mercato (rivalutazione dello yuan e rimozione delle barriere che impediscono alle imprese Usa di operare in Cina). E anche di fare passi avanti sui diritti umani.

Fonte: Corriere della Sera del 18 novembre 2011

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