Gli avversari lo hanno a lungo accusato di essere inesperto e indeciso Ora elogiano il «comandante in capo». Lui rilancia: restiamo uniti.
«Nulla è impossibile per l’ America quando è unita», continua a ripetere Obama dal momento in cui ha condotto a termine con successo l’ operazione con la quale è stato eliminato Osama Bin Laden. Una rivendicazione e un auspicio al quale i repubblicani, per ora, hanno risposto con gli elogi di Bush e dei suoi collaboratori alla Casa Bianca, da Dick Cheney a Condoleezza Rice. Un riconoscimento senza riserve per come il presidente democratico ha gestito la più importante e difficile missione antiterrorismo della storia americana. E l’ altra sera, alla cena coi leader del Congresso, Obama ha ricevuto un’ insolita «standing ovation» assolutamente bipartisan. Un clima di concordia nazionale che certamente non è destinato a durare, visto che l’ America sta per entrare nel clima della campagna elettorale per le presidenziali 2012. Ma il presidente domenica notte ha certamente spezzato un incantesimo. A lungo accusato dalla destra di essere inesperto e indeciso, considerato in fondo poco adatto al ruolo anche da molti democratici – ricordate lo spot elettorale per le primarie del 2008 nel quale Hillary Clinton chiedeva agli americani quali fosse il leader più adatto ad affrontare una crisi internazionale improvvisa, scoppiata alle tre di notte? -, Barack Obama ha definitivamente dimostrato di essere un «commander in chief» duro e determinato, quando è in ballo la sicurezza del Paese. Il presidente ha già autorizzato centinaia di bombardamenti dei droni della Cia contro obiettivi terroristici in Pakistan e domenica ha dato prova di grande audacia scegliendo l’ incursione dei Seals anziché il bombardamento della villa nella quale si nascondeva lo «sceicco del terrore». Adesso gli americani sanno che, se scoppia una crisi alle tre di notte, possono fidarsi di lui. Obama è riuscito per ora a dare maggiore spessore alla sua «leadership», ma forse i fatti di questi giorni gli consentiranno anche di ridimensionare il clima di astioso conflitto politico che, dalla sanità e dalle misure per l’ economia, si era esteso ovunque, anche ai temi più delicati della politica estera. Sembrava ormai che anche la sicurezza nazionale, un terreno nel quale i partiti Usa hanno sempre cercato di mantenere un sostanziale consenso bipartisan, riservando il fuoco delle polemiche più abrasive alle altre questioni, fosse ormai preda dell’ incendio di uno scontro politico senza quartiere. Un incendio che negli ultimi mesi aveva cominciato a lambire anche i rapporti tra la Casa Bianca e i militari, con molti generali pronti a far sentire il loro dissenso rispetto alle decisioni prese del governo. In queste ore sembra in atto una correzione di rotta, favorita anche dal fatto che Obama ha conseguito il successo più significativo della sua presidenza basandosi su un impianto militare che è rimasto in gran parte quello che gli ha lasciato Bush. Pesa poi molto anche un secondo elemento: nella campagna contro il terrorismo il presidente sta utilizzando ampiamente gli strumenti investigativi – in particolare le informazioni raccolte coi brutali interrogatori a Guantanamo – messi in campo dal suo predecessore alla Casa Bianca. E infatti, pragmaticamente, Obama, prima ha rinunciato alla chiusura immediata del carcere speciale nell’ isola di Cuba che aveva promesso ai suoi elettori. E poi è tornato sui suoi passi anche sui processi ai presunti terroristi detenuti a Guantanamo, dopo aver verificato che (anche per gli ostacoli frapporsi dai repubblicani in Congresso) era pressoché impossibile istituire i procedimenti nei tribunali ordinari. Tutte queste circostanze hanno di certo provocato dissenso e disillusione tra i progressisti della sinistra «liberal», ma hanno anche reso più difficile, per i conservatori, prendere le distanze dal presidente. Tocca adesso a Obama cercare di mantenere questo clima di unità nazionale sui temi della sicurezza, procedendo sulla linea di una sostanziale continuità, senza, però, schiacciarsi troppo sui repubblicani. I quali devono ammettere che George Bush, pur avendo reagito all’ attacco dell’ 11 Settembre di dieci anni fa con durezza, non ha mai saputo governare con efficacia le strutture pubbliche di difesa, forse anche per quel fondo di sfiducia ideologica nel ruolo dello Stato che contraddistingueva la sua amministrazione. Una capacità di «connettere i punti» e di agire in modo coordinato che i corpi dello Stato sembrano aver, invece, recuperato sotto Obama: un gestore molto più attento, incalzante, delle strutture di sicurezza di un Paese che oggi restaura, agli occhi del mondo, la sua immagine di unica potenza globale.
Obama “presidente ritrovato” dai repubblicani
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