Il viaggio non rinviato in Brasile nonostante l’intervento. L’asse con Hillary.È stata Hillary Clinton a mettere nero su bianco la nuova dottrina: agire per impedire il massacro in Libia. La sintonia con Dilma Ieri ha elogiato il Brasile anche perché ha saputo cancellare la macchia della dittatura militare.
Quattro calci al pallone insieme ai bimbi della «favela» Cidade de Deus, poi con Michelle e le figlie, Sasha e Malia, in un centro sociale ad applaudire i ragazzi del borgo coi loro tamburi di latta che si sono esibiti nella «capoeira», l’ arte marziale brasiliana. E, a sera, dopo un discorso alla gente di Rio pronunciato nello storico Teatro Municipal, la classica gita al Corcovado per ammirare la statua del Cristo Redentore e lo spettacolo della baia illuminata nella notte. Il tutto inframmezzato dai «briefing» sull’ andamento delle operazioni militari nel Golfo della Sirte del suo Consigliere per la sicurezza nazionale, Tom Donilon, e dai colloqui con Hillary Clinton, col ministro della Difesa, Bob Gates, e col generale Carter Ham, capo dell’ operazione «Odyssey Dawn». Strana domenica, quella di Barack Obama, che nel suo primo giorno da «commander in chief» di una nuova offensiva militare Usa – la prima lanciata dalla sua Amministrazione – ha vestito i panni del politico, del papà e del turista più che quelli del comandante militare. Una stranezza voluta. Nei giorni scorsi il presidente americano aveva fatto di tutto per evitare di aprire un terzo fronte nel mondo musulmano: la Libia dopo Iraq e Afghanistan, i conflitti ereditati da Bush. E anche quando (come abbiamo raccontato ieri) si è reso conto che il rischio di un massacro degli oppositori di Gheddafi imponeva un intervento, ha cercato di non finire al centro del palcoscenico. Dopo il via libera del Consiglio di Sicurezza dell’ Onu all’ intervento militare, molti si aspettavano il rinvio della visita del presidente in America Latina. Non sarebbe stata una novità per un leader che ha cancellato per ben due volte, ad esempio, una missione in Indonesia. Obama, invece, ha deciso di andare comunque e ha scelto di lasciare inalterato il programma: il «guerriero riluttante» ha cercato di ridimensionare la portata dell’ intervento americano, ha provato ad affidare il comando della missione ai partner europei e si è sforzato di rassicurare i cittadini americani, già provati psicologicamente (e ormai anche economicamente) dall’ impegno armato quasi decennale in Afghanistan e Iraq: «Sono consapevole dei rischi ai quali andiamo incontro e vi assicuro che non ho deciso l’ attacco a cuor leggero. Abbiamo preso in considerazione l’ intervento armato solo quando tutte le altre opzioni sono cadute: non potevamo restare inerti davanti al massacro degli oppositori del regime di Gheddafi». Prudenze e spiegazioni che non gli hanno risparmiato attacchi a raffica: la sinistra teme che Obama stia trascinando il Paese in una nuova avventura dalle prospettive incerte, mentre i conservatori lo accusano di essersi mosso troppo tardi (John McCain) e di dare al mondo l’ immagine di una presidenza incerta, debole (Newt Gingrich). In realtà anche la destra è divisa, coi «Tea Party» contrari all’ intervento. Così alla fine anche lo «speaker» della Camera, John Boehner, scende in campo per criticare Obama, ma si limita a chiedergli di spiegare con più chiarezza le sue ragioni al Congresso, prima di autorizzare qualunque «salto di qualità» dell’ offensiva. Il presidente, però, spera di non doversi trovare davanti a un simile problema: ha sollecitato gli alleati a fare la loro parte dopo l’ attacco missilistico inizialmente scatenato dagli Usa per distruggere le difese antiaeree libiche e spera ancora in un’ operazione-lampo capace di cogliere in pochi giorni gli obiettivi fissati. Ma gli Usa e i suoi alleati possono accontentarsi di evitare lo sterminio dei ribelli di Bengasi? Si fermeranno anche se Gheddafi riuscirà a restare al potere a Tripoli? Obama spera di non doversi trovare davanti a un dilemma di questo tipo e per ora si limita a definire il suo nuovo paradigma in materia di intervento umanitario. Le ragioni politiche della nuova «dottrina» le ha messe nero su bianco il Segretario di Stato Hillary Clinton: gli Usa si sono mossi per impedire il massacro dei ribelli, per evitare che dalla Libia partano impulsi destabilizzanti verso Egitto e Tunisia, Paesi impegnati in un delicato processo di democratizzazione, e per non lasciare impuniti i crimini contro l’ umanità di Gheddafi. Definita con Hillary la cornice diplomatica e di diritto internazionale, il presidente ieri ha cercato di parlare ai popoli, elogiando il Brasile per i suoi straordinari successi economici, ma anche perché ha saputo cancellare la macchia della dittatura militare e trasformarsi in una democrazia ormai ben radicata. Un’ esperienza presentata come un modello anche al mondo arabo, dall’ Egitto al «popolo libico che si oppone con coraggio a un regime deciso a brutalizzare i suoi stessi cittadini». Storie, fedi e sistemi diversi, ma per Obama i valori che hanno portato il Brasile al benessere e alla democrazia sono gli stessi che animano i giovani che da Tunisi al Cairo chiedono libertà e rispetto della loro dignità: «Non sono aspirazioni degli americani o dei brasiliani, idee dell’ Occidente: sono valori universali. Li sosterremo ovunque».
Obama Barak “guerriero riluttante” che tiene defilata l’America
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