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Nulla di fatto

Perché prepararsi al ritorno della Lira non è più fantascientifico.
Un bicchiere a metà. Il vertice franco-italiano, cui seguirà quello con anche i tedeschi in vista della riunione dei ministri finanziari (23 gennaio) e del Consiglio Europeo (30 gennaio), è la classica cosa riuscita a metà. La parte piena è rappresentata dagli obiettivi politico-diplomatici che tanto Monti quanto Sarkozy hanno centrato. Per noi è quello di esserci definitivamente reinseriti nel “grande gioco” europeo, dopo aver riguadagnato il diritto a sederci al tavolo per il solo fatto di aver tolto di mezzo l’impresentabile Berlusconi e averlo sostituito con il credibile ex commissario Ue. Per il presidente francese è quello di aver ribadito la sua leadership sui paesi che vogliono imporre alla Germania condizioni meno vincolanti su deficit e debito da inserire nel “fiscal compact” – la nuova Bibbia dell’eurosistema, che non si sa ancora bene se sarà “trattato” o semplice “accordo intergovernativo” – per poi puntare alla creazione degli eurobond. In entrambi i casi si tratta di un “pagherò”, ma tanto basta: per Monti, perché dovrà barcamenarsi con la Merkel se vuole spuntare davvero qualcosa per l’Italia, ma intanto segna un punto di vantaggio sul governo precedente, cosa che lo spread finora gli ha negato; per Sarkozy, che non è affatto sicuro di imporre a Berlino la sua linea, ma a 100 giorni dalle presidenziali francesi è ben contento di occupare quello spazio di scetticismo sul rigore tedesco che il suo avversario Hollande ha già annunciato di voler fare suo.
Ma, a ben pensarci, si tratta di un bicchiere decisamente ben più di mezzo vuoto. E non tanto per il risultato che potrà dare questo braccio di ferro in sede Ue, quanto perché quale che sia la linea prevalente – quella tedesco-olandese-austriaca (i paesi dove il denaro costa tra l’1% e il 2%), del rigore di bilancio ma recessiva, o quella franco-italo-spagnola più permissiva ed espansiva – in entrambi i casi non sarà capace di convincere la speculazione a deporre le armi di pressione sui titoli dei debiti sovrani né tantomeno a desistere dall’obiettivo di far saltare l’euro. Il motivo è semplice: ai mercati importa relativamente se a vincere sia Parigi o Berlino, se non si mettono in discussione gli assetti politico-istituzionali europei nati con Maastricht e non modificati con il conio materiale dell’euro. Cioè se non va nella direzione della creazione degli Stati Uniti d’Europa, guidati da un governo federale eletto direttamente dai cittadini cui gli stati nazionali abbiano delegato quote della loro attuale sovranità. E siccome, né lo scetticismo tedesco (comprensibile, ma pur sempre autolesionista) né il gollismo del governo francese (storicamente incompatibile con il federalismo alla Monnet), vanno in quella direzione, né pare probabile che l’Italia riesca a imporre una linea di vera integrazione, il risultato è che gli spread (non solo quello nostro) rimarranno minacciosamente alti e i paesi in difficoltà (Grecia, Ungheria) finiranno col fallire.
L’impressione è che i leader continentali conoscano i problemi ma non le soluzioni, quindi non facciano altro che guadagnare tempo imbastendo mediazioni continue, con cui si tenta di nascondere divergenze che tali rimangono, nella speranza – illusoria – che a un certo punto, come per magia, i problemi si risolvano da soli. Prepariamoci al ritorno della lira.

Fonte: Messaggero 8 dicembre 2012

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