• giovedì , 26 Dicembre 2024

“Non siamo un servizio pubblico. Le banche devono guadagnare”

«Va ricostruito un rapporto di fiducia tra le banche e il Paese reale». Per farlo bisogna essere più bravi nel selezionare il credito, fornire maggiore trasparenza ai clienti, calmierare le retribuzioni dei top banker. Siamo a 48 ore dal clamoroso strappo che ha visto il comitato di presidenza dell’Abi dimettersi in polemica con l’approvazione dell’azzeramento delle commissioni su affidamenti e sconfinamenti e il presidente Giuseppe Mussari si è munito di ago e di abbondante scorta di filo. Non vuole guerre, pensa a ricucire ed è preoccupato dell’ostilità della società civile. «Ho letto su Corriere.it i commenti dei lettori agli avvenimenti di questi giorni. Ne ho trovati di positivi e di molto negativi, in qualche caso a ragione ma sovente a prescindere dal merito dei problemi. Per questo è necessario che con il principio dei nostri padri, ex malo bonum, da questo conflitto se ne esca con un dibattito pubblico che chiarisca cosa sono e cosa debbono fare le banche. Non voglio che restino ambiguità e veleni. Viviamo di economia reale e di fiducia, non possiamo passare come il capro espiatorio della crisi».
Però la senatrice Fioroni che ha proposto l’emendamento da voi contestato in Parlamento è considerata un’eroina. È possibile che tutti i senatori siano diventati populisti?
«È chiaro che se c’è ostilità nella società civile ce ne sarà anche nel mondo politico. Ma non le dirò nemmeno una parola contro questo Parlamento. In una situazione politica inedita le Camere stanno facendo un grande lavoro. Valutano i provvedimenti del governo, li cambiano e poi li votano. Se Monti ha il successo che merita è anche perché ha una maggioranza che tiene. Poi si possono prendere delle decisioni sbagliate, come nel nostro caso, ma in democrazia ci sta. Ciò detto è bene che il provvedimento venga rivisto e torni alla formulazione originaria. E sarebbe comunque utile che i parlamentari nel ragionare di banche rinunciassero a un’ostilità preconcetta».
Il Parlamento non vi ama ma il governo avrebbe dovuto difendervi. Non è l’esecutivo dei banchieri?
«Solo un matto poteva pensare che in una situazione di emergenza del Paese Monti potesse dar vita a un governo attento agli interessi di una sola categoria di imprese».
Ma una protesta così radicale come le dimissioni non l’avevate messa in atto nemmeno contro Tremonti, eppure un giorno sì e uno no vi criticava e vi aveva messo i prefetti alle calcagna. Vi sentite orfani del governo Berlusconi?
«Guardi i miei genitori sono in salute e quindi non rientro nella categoria. E le dico di più: diamo un giudizio positivo dell’azione complessiva del governo che sta interpretando la voglia di riscatto degli italiani».
Nel governo Monti c’è un ex banchiere Corrado Passera. Non avrebbe dovuto rappresentare o almeno interpretare il turbamento del vostro mondo?
«Le premetto che Corrado è un amico. Mi sembra però che la sua scelta di lasciare il precedente mestiere sia avvenuta all’insegna dell’interesse generale e basta vedere, con il criterio che oggi va di moda, la differenza tra quanto guadagnava prima e quanto guadagna ora per averne la riprova. Ha scelto di fare il ministro, non il sindacalista dell’Abi».
Se tutti, Parlamento/Monti/Passera stanno operando con onestà intellettuale, dove risiede la causa di un conflitto così lacerante?
«Non è chiaro che le banche sono imprese e hanno il diritto/dovere di fare profitti. Non possiamo essere servizio pubblico perché è in contrasto con la nostra natura giuridica e i milioni di azionisti che abbiamo, perché cozza con le scelte privatistiche che il Paese ha fatto per tempo e il modello adottato in tutto il mondo. In più le ricordo che mentre nel resto d’Europa gli Stati hanno usato i pacchetti anticrisi per salvare le banche, spendendo duemila-miliardi-di-euro, da noi i soldi sono stati impegnati per tamponare gli effetti sociali della crisi.Le pare un merito da poco?»
Ma è proprio un sindacalista, Raffaele Bonanni, a invocare una legge che fissi la funzione sociale delle banche.
«Bonanni non dice mai cose banali ma una legge no. Le banche sono imprese private capaci di far propri obiettivi di responsabilità sociale. La nostra rotta guarda all’economia reale ma se non siamo capaci di remunerare il capitale dove prendiamo le munizioni da dare alle imprese?»
Siete tutte, dunque, banche di sistema?
«Non nell’accezione che sistemiamo o aggiustiamo le cose. Non dimentichi che agiamo in regime di concorrenza e dobbiamo essere più profittevoli del concorrente. Anche per questo motivo un regime di prezzi amministrati non ha senso».
Ma il vostro rapporto con il regolatore, la Banca d’Italia, appare sofferto. E non da qualche mese.
«È un rapporto corretto e leale. E sottoscrivo tutte, dico tutte, le cose che il governatore Visco ha detto al Forex di Parma. A cominciare dalla richiesta che ci ha fatto di migliorare ulteriormente la nostra capacità di selezionare il credito».
Gli imprenditori sostengono che lo selezionate così tanto che non lo date a nessuno. Così i Piccoli inneggiano a Draghi e alla Bce che ha allargato i cordoni della borsa e ce l’hanno con voi che quei soldi ve li siete tenuti.
«Non l’annoio con ragionamenti tecnici ma le assicuro che ci sono tempi di implementazione delle decisioni della Bce che non possono essere saltati. Ho invitato le banche a dimostrare come sin dai dati di marzo si possa registrare un’inversione di tendenza. Il credito sta ritornando ad affluire alle imprese. Sappia però che le richieste per nuovi investimenti sono largamente minoritarie, ci chiedono fidi per l’attività corrente. E poi in queste settimane non siamo stati con le mani in mano: abbiamo firmato l’avviso comune per la seconda sospensione dei mutui, la cosiddetta moratoria. Le assicuro che anche quella costa».
Nel rapporto con l’opinione pubblica pesa come un macigno la scarsa trasparenza degli estratti conto e la numerosità dei balzelli e delle commissioni. Da quanto tempo promettete novità senza produrne?
«Stiamo lavorando da due anni con le associazioni dei consumatori per ridisegnare le nostre comunicazioni con la clientela retail con lo slogan della trasparenza semplice. Mi impegno ad accelerare non perché mi illuda che le banche diventino simpatiche. Vorrei però perlomeno evitare il contrario».
Non si tratta solo di trasparenza. Lei sa meglio di me che la clientela guarda il tasso di remunerazione dei depositi lo confronta con quello dei prestiti e vede uno spread ingiustificato.
«Le rispondo senza infingimenti: per i costi della struttura, la necessità di remunerare il capitale e per il rischio che ci assumiamo non si può evitare una proporzione di uno a tre tra tasso dei depositi e tasso degli impieghi».
Ancora ieri il governatore Visco ha richiamato il tema delle alte retribuzioni dei vostri manager. Nell’immaginario collettivo i banchieri sono visti come dei gatti che sono ingrassati anche in tempo di crisi.
«Da tempo sostengo che vada fissato un parametro tra retribuzioni dei top manager e paghe medie in azienda. Come presidente dell’Abi ho scritto una lettera alle banche proponendo che per i prossimi tre anni gli stipendi non salgano e il 4% della retribuzione dell’alta dirigenza vada ad alimentare un fondo per l’occupazione giovanile. Siccome la misura è stata approvata penso proprio che quel fondo nascerà».
Lei finora ha esposto i suoi intendimenti di medio periodo ma sul breve che farete? Se non sarà cambiato il provvedimento dello «scandalo» ricorrerete alla Consulta, ritirerete dai negozi i punti Pos?
«Le dimissioni segnano una discontinuità profonda, un prima e un dopo, non sono legate al cambiamento della norma che pure chiediamo. È stato convocato consiglio e comitato esecutivo Abi e collegialmente valuteremo il da farsi. Il mio auspicio è che si apra un dibattito sulla natura delle banche italiane, che venga fuori chiaramente quale è la nostra natura e quale deve essere il nostro ruolo. Vorremo essere trattati come tutte le altre imprese da cui si esige concorrenza e trasparenza ma alle quali non vengono imposti prezzi amministrati o servizi gratuiti. Le pare che stia chiedendo la luna?»

Fonte: Corriere della Sera del 4 marzo 2012

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