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Non prendetevela con i (pochi)consumi. Dietro (tutti) gli acquisti c’è occupazione

L’idea di «riorientare» le abitudini di shopping e gli antichi pregiudizi verso il consumismo Il comunismo è rovinosamente caduto ma lo spettro del consumismo resiste nell’immaginario collettivo degli italiani. Dietro la battaglia della Filcams Cgil contro i troppi negozi aperti la domenica c’è l’idea «ambiziosa» (così la definisce il segretario Franco Martini) di riorientare i consumi e di rieducare i clienti verso modelli di spesa sostenibili.
Martini arriva anche a criticare il packaging di alcuni prodotti giudicato troppo voluminoso e pesante quindi da smaltire come rifiuti. Da un punto di vista liberale è chiaro che tutto ciò suona come un’insopportabile violazione della libertà del consumatore che non solo si vede vietata la spesa domenicale (molto apprezzata invece, specie nelle grandi città), ma si dovrebbe piegare anche alla nuova pedagogia sindacale, consigli per i non acquisti. Perché se è abbastanza chiaro ciò che i sindacalisti considerano voluttuario e capriccioso (telefonini e televisori), più difficile è individuare una mappa dei consumi virtuosi (i pomodorini biologici e le penne riciclabili?). Come se nella pubblicità televisiva, a causa dei troppi spot, si chiedesse di tornare ai tempi di Carosello. E’evidente che nella composita cultura di una sinistra senza pace la mobilitazione contro il consumismo si colora di mille altre valenze. E’fastidio per le famiglie che affollano i centri commerciali la domenica girando intorno come fossero dei turisti low cost, è contestazione degli stili di vita indotti dalla tv commerciale, è critica della modernità e dell'”egemonia sottoculturale”come recita un pamphlet di Massimiliano Panarari. Ma mai come questa volta la Cgil sembra essere autolesionista. Sarà infatti banale ricordarlo ma non viviamo proprio in una fase di consumi esasperati. Persino i saldi sono andati maluccio e l’apertura dei supermercati fino alle 22 dei giorni feriali e di domenica serve ad intercettare fino all’ultimo cliente, suona come un incentivo a spendere. Perché se è certo che girano pochi soldi e i redditi di molte famiglie stanno facendo risalire la sindrome della quarta settimana alla terza, è anche vero che c’è una fascia di popolazione che potrebbe consumare e invece di fronte alle incertezze dell’economia preferisce risparmiare. E se poi il prosciutto crudo che hanno comprato non faranno a tempo a mangiarlo e dovranno buttarlo nella pattumiera, non credo proprio che ciò basti a decretare la necessità di un Ente Nazionale per la Sostenibilità che tenga sotto controllo h24 i nostri frigoriferi. L’atteggiamento della confederazione diretta da Susanna Camusso è autolesionista anche perché non pressa la grande distribuzione perché investa, metta in campo soluzioni innovative per ampliare il business ma quasi le fornisce un alibi per rassegnarsi all’economia stagnante, tirare i remi in barca, ridurre il personale e trasferire la crisi a tutta la filiera produttiva a monte. La Filcams-Cgil infatti più che riciclare vecchie parole d’ordine sul consumismo, farebbe bene a studiare il ruolo strategico che la grande distribuzione assolve nei sistemi economici moderni. Non basta far uscire dalla fabbrica buoni prodotti, occorre anche saperli esporre e vendere. E il rimpianto, per noi che produciamo i più bei mobili del mondo, di non essere stati capaci di creare un’Ikea italiana è fortissimo. Ma come fa un sindacato a non sapere queste cose, a dimenticare che dietro i consumi (persino quelli capricciosi!) c’è tanta produzione e tanto lavoro? Quante piccole e medie aziende dell’alimentare, del legno, dell’arredo, dell’abbigliamento e degli elettrodomestici aspettano con ansia i rendiconti della grande distribuzione per sapere se riusciranno a tenere ancora aperto oppure no? Il nostro, sembra incredibile doverlo ripetere, è un Paese che non cresce e che non dà chance di occupazione ai suoi figli. Le liberalizzazioni servono proprio a questo, a massimizzare le occasioni, a favorire la concorrenza anche tra negozio e negozio. Martini, invece, vorrebbe che i Comuni decidessero d’imperio i turni della domenica dei supermercati. E così facendo, sega l’albero su cui è seduto perché se dovesse prendere piede in Italia la grande distribuzione cinese non ce ne sarà per nessuno. Martini dovrebbe saperlo. Viene da Prato.

Fonte: Corriere della Sera del 28 febbraio 2011

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