di Franco Debenedetti
Passi falsi sarebbero, secondo Claudio Velardi che ne ha scritto su Huffington Post di giovedì, quelli che Mario Draghi avrebbe fatto nella sua conferenza stampa. Ma strappargli “parole sulla lontana partita del Quirinale” era quello che avrebbero voluto fare tutti i 50 giornalisti che hanno gli hanno posto domande. E poi: quale altro argomento occupa tanto spazio tutti i giorni su tutti i giornali? Rifiutarsi sì che sarebbe stata da parte sua o “una hybris strabordante” o una “sconfortante ingenuità”, per usare le parole di Velardi: Draghi si è limitato invece a ridurre a quattro o cinque le domande sul tema. Good enough.
La disponibilità di Draghi ad essere eletto alla più alta carica dello Stato era già largamente condivisa: però esplicitandola egli ha contribuito ad eliminare un residuo elemento di incertezza da un quadro politico che non ne manca. “Voglio andare al Quirinale” è un nonsense, un versetto da canzonetta alla Natalino Otto, squalifica chi lo usa ben più di colui a cui lo attribuisce. Berlusconi, uno che le sue ambizioni non le nasconde, le inserisce in un progetto politico: portare al Quirinale per la prima volta un uomo di centro-destra, anzi l’uomo che il centro-destra ha creato, e con cui ha governato tre volte.
Anche Mario Draghi parte da una considerazione politica, il carattere della sua maggioranza. Dove partiti che accolgono gli antieuropeisti nostrani sostengono chi per anni ha governato la politica monetaria europea; e partiti che hanno raccolto voti col mantra dell'”uno vale uno”, sostengono un personaggio che ha espresso le sue personali qualità in un curriculum di eccezione.
“Non è affatto detto che la maggioranza di governo debba coincidere con quella che elegge il Presidente”, dice Velardi: e Draghi non l’ha detto. Ha detto che se questa maggioranza si frantuma per l’elezione del Presidente della Repubblica ben difficilmente si ricomporrà per sostenere ancora l’attuale Presidente del Consiglio. Un’ovvietà: che però in Velardi suscita il sospetto che Il presidente del Consiglio utilizzi i partiti per “raggiungere obbiettivi suoi”. “Legittimi”, bontà sua.
Draghi ha poi detto che il suo governo non è un one man’s show, che conta su forti personalità, capaci di proseguire politiche definite e incardinate. Certo che ci andranno i “tavoli di dialogo” che piacciono a Velardi; ma ci sono procedure anti Covid collaudate, impegni con Bruxelles e leggi delega di riforma approvati, una certa ripresa della crescita: certo non è ancora quella che manca all’Italia da in quarto di secolo. Quello che gli analisti pretendono da ogni vero leader, politico o industriale, è che costruisca qualcosa che duri: lo ignora Velardi, che lo scambia per “un atteggiamento distaccato e snobistico riguardo al governo che lui (e non altri) presiede”. La garanzia che il suo governo possiede una sua autonoma consistenza, comporta che solo la volontà del Parlamento, non la necessità di governo, possa far sì che la sua eventuale uscita da Palazzo Chigi comporti la fine della legislatura. E questo è un altro elemento di chiarezza che la conferenza stampa di Draghi ha fornito al panorama politico.
Che l’eccezionalità di questo governo sia resa possibile dalla sintonia, eccezionale per profondità, tra chi sta Quirinale e chi a Palazzo Chigi, è forse la sua considerazione più carica di significato. Per Velardi invece, che vuol prendere la farfalla della sua autocandidatura al Quirinale, la intende nel senso che, stante l’indisponibilità di Mattarella di accettare una seconda nomina, solo il suo trasloco al Quirinale garantirebbe questo idem sentire.
Ben vengano le critiche a Draghi, l’opposizione fa sempre bene. Velardi non è il solo ad avere l’ossessione che, per usare le parole di Marco Travaglio a Otto e mezzo, l’uomo delle istituzioni voglia invece usare le istituzioni per l’uomo. Quello che tutti costoro rischiano è di non cogliere il vero significato delle riflessioni di Draghi: e cioè che egli abbia posto non le condizioni per la sua elezione al Quirinale, ma quelle per la sua permanenza a Palazzo Chigi.
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