• sabato , 23 Novembre 2024

Non lasciamo solo chi subisce la crisi

Una volta lo si chiamava Paese reale. Poi si convenne che sapeva troppo di vetero-sinistra e il termine è caduto in disuso. Ma in questi giorni convulsi e difficili vale forse la pena di rispolverare quel concetto perché indica il protagonista della nuova fase della vita politico-sociale italiana. Se fino a poco tempo fa interrogati dai sondaggisti i nostri connazionali rispondevano che l’Italia andava malissimo ma loro tutto sommato se la cavavano, oggi sta subentrando una percezione più realistica. E anche più drammatica. Pur senza aver frequentato la Bocconi gli italiani hanno capito che si stanno modificando i meccanismi di fondo del funzionamento della nostra società e tutto ciò sta avvenendo con inedita velocità.
Anche noi cronisti della crisi ci stiamo convincendo di vivere un pezzo della storia patria che in un secondo tempo rimasticheremo e studieremo a lungo perché avrà segnato profondamente il paesaggio sociale. Proprio perché il cambiamento è così profondo non bisogna però lasciare soli coloro che lo subiscono. Storicamente in Italia, e per tanti motivi che non è il caso di affrontare in questa sede, la cultura del mercato è stata minoritaria, confinata all’approvazione da parte di élite lungimiranti. Oggi per di più il mercato si presenta alla stregua di un abito rigido, confezionato a Bruxelles e non nelle nostre sartorie politiche, e che per giunta dobbiamo indossare in tempi di recessione e non di larghezza. Purtroppo i governi di ogni colore che hanno sostato a Palazzo Chigi negli anni della crescita hanno sempre rinviato le riforme strutturali e così siamo costretti a realizzarle nelle condizioni di contesto più difficili che ci potessero capitare. Per tutte queste ragioni bisogna evitare che dalla paura del cambiamento, di per sé legittima, si sviluppi un sentimento di estraneità e di rivolta, bisogna scongiurare che gli italiani maturino un convincimento antieuropeo e coltivino l’improbabile sogno di tornare ai tempi della liretta.
Su chi sta guidando, tra grandi difficoltà, il processo di modernizzazione (forzosa) dell’Italia ricade dunque la responsabilità di costruire attorno a quegli obiettivi l’indispensabile clima di fiducia. Non stiamo parlando di qualcosa di impalpabile ma chiediamo, ad esempio, che le banche sviluppino una policy amichevole nei confronti delle piccole e medie imprese bisognose di credito. Vorremmo anche che lo Stato per non apparire patrigno affronti una volta per tutte lo scandalo dei mancati pagamenti della pubblica amministrazione e definisca una formula per incominciare a restituire quel dovuto che altrimenti si trasforma in maltolto. Il Paese reale in quasi tutte le sue componenti sta affrontando uno stress senza precedenti, ma finora lo sta facendo in maniera composta. In risposta a una riforma delle pensioni incisiva e di standard europeo abbiamo registrato solo tre ore di sciopero generale. È vero che diverse categorie minacciano blocchi e azioni clamorose, però fin qui abbiamo letto per lo più appelli pubblicati sui giornali. Gli episodi più inquietanti di queste settimane riguardano la campagna terroristica di cui è bersaglio Equitalia ma in questo caso non si tratta di un’azione di lobby bensì di un fenomeno eversivo. Pur soffrendo, dunque, il Paese mostra di avere i nervi a posto e merita di avere un governo per amico.

Fonte: Corriere della Sera del 5 gennaio 2011

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