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Non basta il lavoro per garantirsi il futuro

Il primo riguarda coloro le cui retribuzioni sono così basse che es¬si e le loro famiglie restano al di sot¬to della soglia di povertà. Il secondo coloro che, pur lavorando, riman¬gono ai margini e hanno alta pro¬babilità di scivolare nella povertà o perché hanno compensi erosi da un’inflazione relativa, composta principalmente dai generi di prima necessità come abitazione e cibo, o perché sono a rischio di perdere l’im¬piego. Secondo i dati della Com¬missione Europea, già nel 2012 il 29,9% della popolazione italiana e¬ra a rischio povertà ed esclusione so¬ciale; tra i 28 dell’Ue ci superavano solo Romania e Grecia. Oggi, la pro¬porzione supera il 30%. Sempre nel 2012, nell’Unione oltre il 12% degli occupati era da considerarsi

working poor (con un aumento significativo rispetto al 9,3% segnato nel 2000): la crisi ha colpito particolarmente queste fasce sociali. In Italia la quota dei working poor (sul 10% degli occupati, pre-valentemente i giovani) è inferiore alla media europea grazie in parti¬colare alla bassa dispersione sala¬riale prevista nei contratti nazionali di lavoro e a livelli salariali ‘mediani’ contenuti e in linea con la media con¬tinentale. Sta cre¬scendo pericolosa¬mente, e veloce¬mente, invece, la in-work poverty a ragione della riduzione delle ore la¬vorate (soprattutto per la cassa in¬tegrazione), della modesta intensità di lavoro all’interno delle famiglie (molto elevata la proporzione dei nuclei monoreddito), della scarsa efficacia dei meccanismi di prote¬zione sociale nel ridurre il rischio di povertà. Questi temi, che dovrebbe¬ro essere centrali nell’azione di Go¬verno, sono analizzati in dettaglio in uno studio commissionato dal Cnel al Centro di ricerche per i pro¬blemi del lavoro e dell’impresa del¬l’Università Cattolica del Sacro Cuo¬re. A differenza di altri lavori in ma¬teria, l’analisi contiene un ventaglio di proposte puntuali per contrasta¬re il fenomeno tanto degli individui (riduzione del cuneo fiscale, intro-duzione di un salario minimo le¬gale) quanto delle famiglie (come disegnare gli incentivi per fare en-trare nella forza lavoro coloro che, delusi, la hanno abbandonata). Se ne mostrano vantaggi e limiti pro¬prio per facilitare scelte da chi ha responsabilità politica.

Fonte: Avvenire - 15 luglio 2014

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