Una versione annacquata della proposta americana di mettere un tetto agli squilibri commerciali fra le economie più importanti potrebbe essere il pincipale risultato del G-20 finanziario che si chiude oggi a Gyeongju.
L’iniziativa lanciata dal segretario al Tesoro Usa, Tim Geithner, in una lettera ai suoi colleghi, e diretta soprattutto a limitare il forte surplus della Cina nei confronti degli Stati Uniti, ha incontrato forti resistenze, soprattutto di Germania e Giappone, due paesi con un largo avanzo dei conti con l’estero (si veda il grafico in pagina) ma verrebbe accettata nel comunicato finale, seppure senza alcuna indicazione di obiettivi numerici. Il ministro giapponese Yoshihiko Noda ha dichiarato «irrealistica» la fissazione di un tetto al 4% del Pil, sia per i surplus sia per i disavanzi delle partite correnti, confermando le indiscrezioni della vigilia che indicavano in questo livello il tetto proposto dagli americani. «I paesi con surplus persistente – scrive Geithner, in riferimento trasparente alla Cina – dovrebbero intraprendere politiche strutturali, fiscali e del cambio per spingere le fonti interne della crescita». Pechino, lamentano i partner commerciali, ha basato finora il suo modello di crescita interamente sull’export, favorito da un cambio ampiamente sottovalutato. Lo stesso Geithner, nel corso della riunione, ha poi assunto, secondo una fonte del G-20, un tono molto conciliante e ha evitato di fare riferimento a una soglia numerica: gli Usa avrebbero scelto questa linea dopo che le sollecitazioni rivolte per mesi a Pechino per la rivalutazione dello yuan hanno sortito risultati modesti.
Anche grazie ai toni più smorzati da parte Usa, la proposta, in questa forma meno incisiva, ha trovato una certa disponibilità degli altri partecipanti, anche perché ha avuto il merito di spostare l’attenzione dalla discussione sui cambi, che un portavoce coreano ha definito «caldissima», a quella meno controversa della riduzione degli squilibri globali. «C’è il desiderio – ha detto il ministro canadese, Jim Flaherty, presidente di turno del G-7, il gruppo dei maggiori paesi industriali che hanno discusso fra loro prima della riunione allargata agli emergenti – di essere collaborativi e presentare un piano di azione ai nostri capi di Stato e di Governo che si riuniranno a novembre a Seul». I padroni di casa sudcoreani hanno appoggiato l’iniziativa di Geithner, nonostante sia emersa a sorpresa alla vigilia dell’incontro di Gyeongju. «Dobbiamo trovare un modo di risolvere gli squilibri globali – ha detto il presidente coreano Lee Myung-Bak – l’assenza di azione può mettere a repentaglio l’economia globale». Il timore di tutti è che le dispute sulle questioni valutarie possano estendersi ai rapporti commerciali.
Se la Cina era chiaramente il principale bersaglio di Washington (il surplus del colosso asiatico era del 6% l’anno scorso, e, dopo una flessione nei prossimi due anni, dovrebbe salire, secondo le previsioni del Fondo monetario, al 7,8% nel 2015), la Germania, il cui avanzo toccherà quest’anno il 6,1%, si è sentita a sua volta sul banco degli accusati. «Il tetto al surplus è un’idea da economia pianificata», ha dichiarato il ministro dell’Economia Rainer Brüderle (che sostituiva il collega delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, indisposto). La delegazione tedesca ha ottenuto che la proposta americana, per poter essere approvata, fosse soggetta a una seconda condizione: che venisse preso in esame non il saldo di parte corrente tedesca, ma quello dell’intera area euro, che quest’anno è pressoché in pareggio. Una posizione condivisa dagli altri rappresentanti europei, che evidentemente ritengono di poter approfittare del traino della forte crescita tedesca, e spalleggiata anche dal direttore del Fondo monetario, Dominique Strauss-Kahn.
La “guerra dei cambi”, per usare l’espressione di successo del ministro delle Finanze brasiliano Guido Mantega, è finita così sullo sfondo della discussione, anche se, secondo fonti coreane, ieri è stato «come il giorno prima del tifone», nel timore che la tempesta possa arrivare oggi. E soprattutto che una risposta del G-20 giudicata insufficiente da parte dei mercati valutari possa da lunedì riattizzare le turbolenze sui cambi. Il commissario europeo, Olli Rehn, ha insistito che va evitata una «spirale di svalutazioni», come quella che si è profilata nelle scorse settimane, quando alla mancata rivalutazione dello yuan cinese si è sommato il netto ribasso del dollaro, a causa degli annunci della Fed di voler allentare ulteriormente la politica monetaria con acquisti di titoli sul mercato.
Negli incontri di ieri è stato il ministro giapponese a sostenere, in linea con la Cina, che le scelte di politica monetaria Usa hanno pesanti responsabilità nel determinare l’instabilità valutaria.
No di Berlino e Tokyo al piano Usa
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