• mercoledì , 25 Dicembre 2024

Niente brindisi, la ripresa sta già rallentando

Se si volessero qualificare con un solo aggettivo queste settimane del 2010, si potrebbe parlare dell’”estate astemia”. Infatti, quando i Governi e gli esperti di economia internazionale avevano già iniziato una festa per celebrare la fine della recessione iniziata nel 2007, qualcuno – un tempo si sarebbe parlato di “destino cinico e baro”- è entrato nella sala e si è portato via gli alcolici (e forse pure in tramezzini). Nolente o volente, un’estate che era parsa brillante è diventata tutt’altro che allegra. In effetti, si era esagerato nel cominciare a stappare champagne: il grafico mostra che a metà 2010 il Pil mondiale era appena tornato ai livelli complessivi di circa tre anni prima. In questo lasso di tempo, poi, la sua distribuzione geografica era mutata con una contrazione della quota dell’Europa ed un aumento di quella dell’Asia, nonché di quella (nonostante tutto) dell’America. Senza dubbio, le stime econometriche presentata a metà luglio dai 20 maggiori istituti di studio e ricerca (tutti privati)- in gergo il gruppo del “consensus”- inducevano a sperare grazie a tassi di cresciti stimati, per l’intero 2010, al 3,1% per gli Usa e per il Giappone, al 3,5% per il Canada, al 9,9% per la Cina. Nell’area dell’euro, la ripresa appariva lenta e debole – un aumento del Pil per la regione appena dell’1,1%. Unica eccezione la Germania con un incremento del Pil del 2% circa trainato da un export pari al 5,5 del reddito nazionale. Già a metà luglio, però, le previsioni per 2011 avvertivano il prossimo anno sarebbe stato meno allegro , con una decelerazione dei tassi d’incremento del Pil negli Usa (2,9%) ed in Cina (8,3%), che sarebbe stata molto marcata in Giappone (1,7% quasi un dimezzamento rispetto all’andamento stimato per l’anno in corso); avrebbe tenuto l’area dell’euro, ma a livelli bassi (1,2%).
Il quadro pare cambiato nelle ultime due settimane. All’inizio di luglio, i primi indicatori parlano di crescita Usa del 2,4% (quindi quasi un quarto di meno di quanto stimato due settimane fa) e di un’area dell’euro il cui tasso di crescita si porrebbe al di sotto dell’1%, nonostante l’andamento sempre robusto della Germania.
Già a metà a luglio, l’Italia appariva come la cenerentola dell’area: una crescita appena dello 0,9%, dopo 15 anni di virtuale stagnazione, determinata, in buona misura, dalla caduta della produttività del lavoro (- 2,7% l’anno nel 2007-2009) dopo una crescita attorno all’1,2% l’anno negli ultimi 30 anni. Attenzione, il rallentamento è stato negli ultimi dieci anni quanto è stata segnata una contrazione dello 0,5% l’annoi. Un “mal sottile” che rende fragile qualsiasi cenno di ripresa e che necessità di essere curato con formazione e migliore organizzazione dei processi . Quasi alla fine della prima decade di agosto, sono giunti dati promettenti (forte crescita della produzione industriale, ad un tasso dell’8,2% l’anno, e buon andamento del Pil, + 1,1% l’anno, nel secondo semestre, ma le stime di alcuni dei maggiori centri previsionali stranieri parlano di una crescita per l’Italia soltanto dello 0,5% per l’anno in corso ; potrebbe diventare , nel 2011, stagnazione od addirittura una nuova recessione, pur se più leggera di quella del 2008-2009. E’ difficile dire in che misura questo rallentamento sia imputabile a ciò che avviene nel resto del mondo e quanto all’instabilità politica interna. Tuttavia, le analisi storiche comparate dei Paesi Ocse suggeriscono che l’instabilità del quadro politico è quasi sempre un freno alla crescita: rallenta di circa un terzo il tasso di aumento del Pil in quanto genera incertezza con implicazioni negative sia per gli investimenti sia per i consumi. Come ogni medaglia anche questo rischio ha il suo rovescio: il profilarsi di una maggiore incertezza può essere colto dalle imprese come un’opportunità per affinare innovazioni di processo e di prodotto, per entrare in nuovi mercati e per dare vita ad aggregazioni che aumentino le dimensioni aziendali.

Fonte: Avvenire 8 agosto 2010

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