In primo luogo, e a prima vista, il “caso Fiat” è essenzialmente una questione sindacale: Cisl e Uil contrapposte frontalmente a Fiom, Cgil impegnata nell’acrobatico esercizio di distinguersi da questa senza uniformarsi a quelle e i partiti nel tentativo di dare una risposta politica ai problemi che il “caso” ha sollevato. Ma è davvero questa la dinamica della vicenda?
Per quanto riguarda il Pd, i problemi del ciclone Marchionne si abbattono sul partito in un momento particolarmente critico: la questione sindacale funge da detonatore di una partita politica. Sostenere che alla base dell’irrigidimento della Fiom ci sia il disegno politico di far precipitare l’evoluzione del Pd, di arrivare allo show down tra chi vorrebbe spostare il partito a sinistra e chi invece vede nel centro i suoi naturali alleati, è probabilmente azzardato. Ma è certo che, “oggettivamente”, esso agisce in quella direzione.
Che Nichi Vendola non si lasciasse scappare l’occasione per acuire la sua contrapposizione al segretario era scontato, i temi dei diritti avanzati dalla Fiom si prestano particolarmente ad essere inglobati nelle sue narrazioni emotive. Più sorprendente è l’iniziativa di Cofferati e Bertinotti di dar vita all’associazione Lavoro e Libertà: non è certo per ritornare a fare i sindacalisti che essi saranno in piazza con la Fiom, ma per cercare di rientrare sulla scena politica, approfittando delle opportunità che si potrebbero presentare se il partito sterzasse a sinistra. L’Idv abbraccia la causa della Fiom non solo perché lì la spinge il suo istinto populista, ma anche perché pensa di avvantaggiarsi degli spazi che si aprirebbero se il Pd virasse dalla sua attuale linea. Perfino le componenti di ispirazione cattolica si dividono, l’Avvenire favorevole all’accordo, Famiglia Cristiana invece preoccupata per un declino dei diritti costituzionali.
Ma è la componente “illuminista” della sinistra a mostrare più visibili imbarazzi. Essa non ha più oggi referenti politici quali furono Ugo al Malfa prima e Carlo Azeglio Ciampi poi, grazie alla cui autorità proporre patti dei produttori o accordi del ’93: presa in mezzo tra farsi convincere dalla razionalità del progetto di Marchionne, e tradire il sacro totem dell’operaismo, l’offensiva Fiom la mette in crisi.
Lucrare dividendi politici è l’obbiettivo strategico per cui la Fiom sta ferma nella sua opposizione di principio. Ed è la tattica per evitare di mettere in discussione argomenti che anche all’interno del Pd appaiono sempre più insostenibili. Non regge opporsi ai patti in deroga, quando essi sono stati introdotti da alcuni anni nei contratti dei chimici, e approvati dalla Cgil. Non regge la tesi della lesione del diritto di sciopero, quando è la Costituzione a prevedere che la sua modalità di esercizio sia regolata per legge, legge che parlamenti e governi non hanno mai ritenuto di scrivere.
Appare sempre più chiaro che la sinistra, come scrive Pietro Ichino, si oppone agli accordi non per il loro contenuto effettivo attuale, ma in nome del pericolo del “piano inclinato”: si sa dove si incomincia non si sa dove si va a finire. La radicalità della posizione Fiom finisce per offrire una stampella al governo: consente al ministro Sacconi di invocare motivi di principio per rifiutarsi di regolare per legge la rappresentanza sindacale sui luoghi di lavoro, e di evitare in sostanza un percorso parlamentare che avrebbe esposto il governo agli agguati dei suoi ex alleati. E finisce per fornire a Marchionne la giustificazione per rifiutarsi di discutere il suo progetto industriale con chi avanza rifiuti pregiudiziali: quando non è che interrogativi non se li pongano anche coloro che riconoscono a Marchionne il merito di avere dato uno scrollone al sistema delle relazioni sindacali in Italia.
Finirà che, con ogni probabilità, Fiom sarà sconfitta, e i patti in deroga diventeranno la regola. Con qualche ottimismo, le difficoltà di far rispettare da tutti i dipendenti la clausola di tregua si riveleranno esagerate; con una ulteriore dose di ottimismo, esagerate potranno essere le preoccupazioni per la conflittualità permanente con una Fiom “cobasizzazata”. Avremo introdotto uno strumento importante di competitività. Ma di analisi di merito di progetti, di confronti tra progetti industriali alternativi, che dell’introduzione dei contratti in deroga potrebbero essere il frutto più interessante, non si è neppure iniziato a parlare: sono la vera vittima della battaglia conservatrice condotta dalla Fiom.
Nemesi a sinistra del sindacato. Dal PD ostaggio della Cgil, ai partiti che condizionano gli operai
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