Un manager cinese per le 400 imprese delle macchine utensili Incubatori industriali L’ azienda a conduzione tradizionale in certi casi è diventata incubatore di nuove iniziative nel territorio, come nel caso della Losma da cui sono nati 18 spin off «Nicchie» nel mondo Nasce la «nicchia globale»: le imprese si specializzano molto in un solo prodotto, nel quale diventano molto importanti in tutto il mondo La formazione Partiti due centri di formazione di tecnici in Russia e Brasile in omaggio alla concezione del «made by Italians» Più idee che robot I Piccoli della meccanica nella «fabbrica globale»
Raccontano che la meccanica strumentale sia per le piccole e medie imprese italiane un settore con sfera di cristallo incorporata. Basta osservare cosa sta succedendo tra i torni, le frese e le macchine transfer e si finisce per capire quanto accadrà nel resto dell’ industria italiana di taglia medium e small. Di sicuro la meccanica strumentale pur producendo solo beni intermedi e non prodotti finali è un reparto d’ onore del made in Italy, è un partner tecnologico di primissimo livello riconosciuto e apprezzato in tutto il mondo. Spulciando i dati dell’ associazione di categoria, l’ Ucimu-Confindustria, viene fuori che il 67,4% delle aziende del settore ha un fatturato che non supera i 12,5 milioni di euro e il 78% occupa meno di cento addetti. Sommando Lombardia, Nord Est e Piemonte si arriva all’ 80% delle 400 imprese totali che compongono il settore. Passato il peggio il business è in ripresa: al terzo trimestre del 2010 gli ordini hanno fatto segnare +25% grazie soprattutto a un export cresciuto del 57%. Laureati e periti sommati compongono anche il 70% dell’ organico ma si tratta quasi sempre di imprese-scuola nelle quali c’ è aggiornamento costante, si è assunti da giovani e si cresce internamente. La figura chiave è il meccatronico, un esperto di tecnologia laser che conosce l’ inglese, è dotato di una forte propensione al problem solving e buone capacità relazionali. Macchine utensili Il turnover del personale è basso, l’ età media è sotto i 40 anni e il ricambio generazionale è avvenuto negli anni ‘ 90 in coincidenza proprio con l’ avvento della meccatronica. Ma se questi sono i dati base due ricercatori, Daniele Boldizzoni dello Iulm e Luigi Serio dell’ Università Cattolica e Fondazione Istud, proprio per conto dell’ Ucimu hanno condotto una ricerca di profondità per capire dove sta andando il made in Italy delle macchine utensili nel dopo crisi. E la prima considerazione che i due docenti hanno messo giù, in un corposo rapporto di ricerca che verrà presentato oggi a Milano, racconta come si capisca subito che si tratta di aziende ad alta intensità di capitale intellettuale. «Chi si aspettasse la classica officina meccanica, piuttosto disordinata e impregnata di olio, sarebbe fuori strada. Girando per i reparti progettazione e montaggio ci si imbatte in tecnici impegnati a verificare la funzionalità della macchina tramite pc portatili o ad effettuare test sui materiali in ambienti quasi sterili e a temperatura costante». Che le aziende abbiano più o meno di 100 addetti, che la loro gestione sia artigianale con l’ imprenditore che si occupa direttamente del personale o che invece esista un’ articolazione delle funzioni, cambia poco. Ciò che contraddistingue il settore è la centralità del fattore umano. Annota Serio: «Finisce una della grandi illusioni del nostro fine secolo, la fabbrica al buio, progettata senza alcun intervento di esseri umani». Anche l’ industria che per eccellenza usa robot è arrivata alla conclusione che chi fa la differenza è l’ uomo. Il modello delle Pmi italiane centrato sulla figura forte dell’ imprenditore deus ex machina «sempre in giro per i reparti a chiedere ai vecchi operai come va e ai neo-assunti come si trovano» non è quindi destinato al fuorigioco, a patto però che sappia sperimentare forme evolute di integrazione tra la famiglia, le competenze necessarie per restare all’ avanguardia e il territorio. Quando è davvero così l’ esperienza dei Piccoli riesce a metabolizzare tutto e attorno all’ azienda si crea una sorta di famiglia allargata, con manager entrati giovani e ormai legati da un rapporto di dedizione e riconoscenza. «Ci si capisce al volo con uno sguardo» è la frase che ricorre nelle testimonianze degli intervistati. Rimane invece una certa diffidenza verso i manager provenienti dalle multinazionali accusati nella buona sostanza di superbia. «Vogliono insegnarti il mestiere e non sanno che ci siamo legittimati per la nostra conoscenza tecnica». Imprenditorialità Nella contesa di sempre tra il modello basato sull’ imprenditorialità autosufficiente e quello fondato sul management le aziende che riescono ad avere le performance migliori sono quelle che si muovono lungo una sorta di terza via ibridando il meglio dei modelli-base. «Così riescono ad evitare le distorsioni tipiche della grandi aziende, la creazione di una burocrazia interna, il susseguirsi di conflitti» commenta Serio. E comunque, se per anni si è pensato che la famiglia fosse un elemento di disturbo, l’ esperienza delle aziende della meccanica strumentale analizzate dalla ricerca Ucimu porta a rivedere quest’ opinione. «E’ chiaro che noi abbiamo visto le aziende più dinamiche, ma sono tante le imprese del settore nelle quali la famiglia si è dimostrata portatrice di valori di innovazione». In alcuni casi l’ azienda a conduzione tradizionale è diventata addirittura incubatore di nuove iniziative nel territorio, come nel caso della Losma da cui sono nati ben 18 spin off. A mettere in crisi il modello sono magari dinamiche esterne, come ad esempio la difficoltà crescente a trovare tecnici a livello. Tanto che, come dice lo stesso Giancarlo Losma, «se incontro una persona brava, intelligente non me la lascio sfuggire. Intanto la assumo, poi troverò sicuramente che cosa farle fare». Nicchia globale I cambiamenti e le evoluzioni nel mondo Ucimu vanno però collocati alla luce delle priorità del dopo-crisi. E il driver sicuramente è rappresentato dalla necessità di conquistare nuovi mercati, Cina innanzitutto. A questo proposito i ricercatori usano un concetto che nell’ immediato può suonare come un ossimoro, «nicchia globale». In concreto vuol dire che i Piccoli delle macchine utensili continuano a fare un prodotto unico cercando però di giocare un ruolo da big player in tutto il mondo. Se finora si puntava ad affermare la propria leadership tecnologica sui mercati occidentali, ora si cerca di capire come organizzarsi nei paesi emergenti conservando però il primato. Ma per chi è portatore di una cultura tecnica così avanzata non c’ è il rischio di essere clonati? Sicuramente c’ è ma la domanda cinese è così importante che il rischio va corso e in qualche misura va esorcizzato salendo di gamma. «Se invece di collocare macchine si vendono soluzioni il know how italiano viene messo al riparo. L’ italianità risiederà sempre di più nell’ ideazione che nella pura “manifattura”. Da qui la novità di usare nel caso delle macchine utensili l’ espressione «made by italians». «Mentre la legislazione sul made in si concentra sulla difesa del prodotto fisico e tende a vincolare sul nostro territorio una certa quantità di lavorazioni – dicono Boldizzoni e Serio – Dovremmo cercare di proteggere la fase di ideazione del prodotto, a prescindere dal luogo in cui è stato materialmente fabbricato». Dal rapporto Ucimu arriva anche un’ altra indicazione precisa ai Piccoli. Costruire reti di impresa, sono la conditio sine qua non per affrontare con speranze di successo mercati più ampi e più lontani. «Si può dire che esiste ormai una soglia minima sotto la quale se non si fa rete si diventa terminali di reti altrui» dice Serio. I tecnici Le reti naturalmente possono essere di vario tipo. Esterne se servono a collegare le esperienze di più centri di ricerca e sviluppo, verticali se servono a rafforzare la filiera e a sommare le competenze, internazionali se sono finalizzate ad acquisire visibilità e credibilità nei contesti globalizzati. Per aiutare le imprese nei paesi Bric l’ Ucimu ha in cantiere due iniziative di una certa originalità. La prima consiste nell’ ingaggio di un manager cinese che da Pechino possa essere punto di riferimento per le aziende della meccanica strumentale desiderose di entrare sul mercato cinese. La seconda prevede la nascita di due centri di formazione di tecnici locali in Russia e in Brasile proprio in omaggio alla nuova concezione del made by italians. La mondializzazione, dunque, non fa paura alle aziende familiari. «Siamo però arrivati alla conclusione – dicono Boldizzoni e Serio che il danno più grave che i fenomeni di globalizzazione possono fare è quello di disperdere le competenze, di sradicare le tradizioni». Da qui la necessità di mettere in campo una strategia capace di capitalizzare i saperi e di proteggere il «sistema Italia della macchina utensile», mettendo assieme ricerca e formazione e senza rinunciare all’ apertura internazionale. Alla faccia di chi aveva pronosticato che i robot avrebbero soppiantato i Piccoli.
Nell’officina dei robot regna l’intellettuale
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