Si fa un gran parlare di ‘spending review’, ma poi si ha paura a intervenire su quelle strutture e su quegli enti che servono soltanto alla politica per garantirsi poltrone, clientele e voti. Ecco qualche esempio, facile facile.
Il documento, lungo nove pagine, si può leggere a questo link. Uno dopo l’altro vi sono elencati tutti gli enti e le società che fanno parte del settore pubblico. Non solo lo Stato centrale con i suoi ministeri, quindi, ma anche le Aziende sanitarie locali, gli istituti di previdenza, gli enti territoriali (regioni, comuni, province), le autorità di sorveglianza (dalla Consob all’Antitrust), le Agenzie fiscali e una serie infinita di organismi nati con i più disparati mandati. Che, tutti insieme, compongono la Pubblica amministrazione, quel corpaccione di strutture burocratiche attraverso il quale ogni anno lo Stato e le sue propaggini spendono 800 miliardi di euro: 13.300 per ciascun italiano, dai neonati agli ultracentenari.
Dentro c’è di tutto: sicurezza, difesa, giustizia, istruzione, sanità, previdenza, interessi sul debito pubblico. Ma quella somma è cresciuta continuamente a partire dagli anni ’70 fino a raggiungere il 50 per cento del Prodotto interno lordo. Trascinandosi dietro sempre più tasse da pagare. Già, perché man mano che la spesa cresce anche le entrate dello Stato devono aumentare se non si vuole (o non si può, come di questi tempi) chiedere altri soldi al mercato finanziario collocando titoli del debito pubblico.
Il governo Monti si è dato come primo obiettivo il pareggio di bilancio, un risultato importante per la stabilità finanziaria dell’Italia che dovrebbe essere raggiunto nel 2013. Per centrarlo ha costretto il paese a pagare un prezzo altissimo sotto forma di nuove tasse o di inasprimento di quelle esistenti: dall’Imu alle addizionali Irpef, dalle “patrimonialine” mirate all’Iva (forse, da settembre). Anche grazie alla pressione dell’opinione pubblica si è però reso conto di aver spinto troppo su quel pedale e ora sta provando a correre ai ripari. Poiché la riforma delle pensioni solo tra parecchi anni darà frutti in termini di contenimento della spesa, il ministro Piero Giarda si è messo al lavoro per la cosiddetta ” spending review”, la revisione dei meccanismi di spesa che dovrebbe consentire di risparmiare 4,2 miliardi nel 2012 intervenendo su voci che valgono 100 miliardi nel complesso. Con qualche conflitto all’interno del governo tra lo stesso Giarda e il superconsulente Enrico Bondi che ha stabilito il suo quartier generale al Tesoro dove lavora a stretto contatto con il capo di gabinetto Vincenzo Fortunato e il Ragioniere generale Mario Canzio.
Gli obiettivi di riduzione della spesa sono ambiziosi. Nel Documento di economia e finanza le uscite correnti, esclusi quindi gli investimenti, al netto degli interessi, scendono di due punti entro il 2015 in rapporto al Pil: dal 42,5 al 40,5 per cento. Dopo che per anni erano costantemente aumentate. Ma raggiungere questi risultati non sarà facile. Soprattutto se l’economia non tornerà a crescere.
Che gli sprechi ci siano è peraltro abbastanza evidente. E l’elenco degli organismi che fanno parte del settore pubblico ne è la conferma. Più complicato è eliminarli perché c’è sempre un buon motivo per non toccare la spesa: si devono licenziare le persone che l’amministrano, si devono chiudere aziende che forniscono servizi non indispensabili o che ricevono sussidi, si deve rinunciare a obiettivi culturali, sociali, religiosi che solo lo Stato, secondo le consuetudini di questi anni, può perseguire. E allora si indigna il sindaco, se la prende il governatore, si mobilitano deputati e senatori, si firmano appelli. Alla fine la spesa non si tocca.
Come insegna l’esperienza degli enti inutili che, soppressi da leggi a ripetizione, sono ancora vivi e vegeti. E soprattutto costosi. A ridurne il numero ci hanno provato in tanti: più volte i governi Berlusconi, quello di Prodi. Il parlamento ha regolarmente approvato. Ma per un motivo o per l’altro di effetti concreti quei provvedimenti non ne hanno avuti. Solo un po’ di pubblicità per ministri in cerca di gloria. Come Roberto Calderoli che ne aveva fatto un suo cavallo di battaglia. Alcune vicende sono grottesche. Quella dell’Ice, per esempio. Soppresso dall’ultimo governo Berlusconi, l’Istituto per il commercio estero, che si occupa della promozione dei prodotti made in Italy sui mercati internazionali, è stato riportato in vita da Mario Monti.
L’Espresso ha scelto alcuni esempi di questi rami della Pubblica amministrazione. Non sono certo i più costosi. Ma sembra difficile dimostrare la collettività non ne possa fare a meno. Come potrebbe fare a meno delle province, delle comunità montane, di gran parte degli oltre 8 mila comuni, di chissà quanti consorzi, agenzie, fondazioni, istituti. Senza che la qualità della vita ne risenta. Anzi, con meno tasse da pagare e meno obblighi burocratici cui adempiere il benessere potrebbe solo aumentare.
Fec, le Chiese di Stato
Pochi lo sanno. E, con ogni probabilità, lei stessa prima di accettare l’incarico non lo sospettava neanche. Ma Anna Maria Cancellieri possiede 750 chiese. E tre foreste. Il ministero dell’Interno è però uno stranissimo proprietario. Perché paga puntualmente le spese di straordinaria amministrazione di questi edifici, che poi non usa (e d’altronde sarebbe difficile anche solo immaginare come potrebbe). Così, le concede in uso gratuito alle autorità ecclesiastiche. La Chiesa risparmia, ringrazia e li usa per celebrare le funzioni religiose, al termine delle quali raccoglie pure le offerte dei credenti.
E’ la storia strana, e tutta italiana, del Fec, il Fondo per gli edifici di culto, nato nel 1985 con la revisione del Concordato e scelto come contenitore per una serie di beni appartenuti agli ordini religiosi sciolti nella seconda metà dell’Ottocento e dopo di allora finiti nella disponibilità di diversi soggetti. Oggi al Fec fanno capo, per esempio, e solo per citare alcune tra le più note, le chiese di San Domenico a Bologna, di Santa Maria Novella a Firenze, di Santa Maria del Popolo a Roma, di Santa Chiara a Napoli, della Martorana a Palermo. Il Fec costa. Inquadrato come direzione centrale del ministero, ha un direttore (il prefetto Lucia Di Maro), che coordina sei uffici, ai quali fanno capo 50 dipendenti circa. E un consiglio di amministrazione, composto di nove membri (tre dei quali designati dalla Conferenza episcopale italiana, cioè dai vescovi), che dura in carica quattro anni.
Anna Maria Cancellieri Il fondo ha un budget di circa 6 milioni, costituito per poco meno di 2 milioni da contributi statali e per il resto dalle rendite assicurate dall’affitto a privati di 300 edifici ex ecclesiastici di cui è diventato proprietario. I quattrini in ballo, in questo caso, non sono tanti. Rappresentano davvero una goccia nell’oceano della spesa pubblica. Ma viene da chiedersi se il ministero, invece di regalarli alla Chiesa, già abbondantemente sovvenzionata attraverso la legge sull’otto per mille, non potrebbe utilizzarli altrimenti. Per esempio per evitare che le volanti restino con il serbatoio a secco. Come ormai si legge sui giornali un giorno sì e l’altro pure.
Microcredito: l’ente c’è ma manca il credito.
E’ nato per organizzare il soccorso agli imprenditori più poveri e marginali, quelli a cui le banche non scuciono un centesimo; per promuovere “la via italiana al microcredito”, seguendo l’esempio del banchiere ed economista bengalese Muhammad Yunus, già premio Nobel per la pace. “Ma cosa ha fatto concretamente finora? Quanto è lontano l’obiettivo”, si chiede Roberto Di Giovan Paolo, senatore del Pd, “se è italiano solo l’1 per cento dei beneficiari raggiunti dai programmi di microfinanza europei?”.
Domanda opportuna perché L’Ente nazionale per il Microcredito, cucito su misura del presidente, il deputato pidiellino ex Udc Mario Baccini, che lo guida dal primo piano del magnifico Palazzo Blumensthil, accanto a ponte Cavour, è l’ultimo risultato di un processo avviato nel settembre del 2004, quando nacque il comitato per il Microcredito, che nel 2006 divenne permanente, e con la Finanziaria 2008 ente di diritto pubblico presso Palazzo Chigi,per conquistare infine, nel 2011, l’autonomia organizzativa, patrimoniale, contabile e finanziaria.
Mario Baccini C’era tempo per trasformare la via italiana in autostrada. Qual è dunque il bilancio sociale di un ente che costa allo Stato circa 2 milioni di euro l’anno? Molti convegni, protocolli d’intesa con Anci, Unione delle province e Unioncamere, accordi con Luiss, Sapienza e Università di Bologna, progetti europei che impiegano un’ottantina di persone. E i benefici concreti sugli utilizzatori finali del microcredito? Arriveranno nei prossimi 15 mesi, garantisce l’Ente, quando 2 mila piccole attività economiche potranno essere messe in piedi con altrettanti prestiti da 25 mila euro l’uno.
Baccini non siede su quella nobile poltrona gratis. Prende infatti 120 mila euro lordi l’anno (e 147 mila vanno al segretario generale Riccardo Graziano) che si aggiungono alla sua già lauta retribuzione da parlamentare. Per un uomo che ha dichiarato: “La mia grande missione è battere sul tempo la povertà”, sarebbe proprio incoerente un beau geste, in questo frangente di disperazione e di suicidi? “L’Espresso” glielo ha chiesto. “Se n’è già ampiamente parlato”, è stata la secca risposta, mentre il suo ufficio stampa ricordava che, con le tasse che lui paga, l’indennità per la guida dell’Ente si riduce (solo) a 4 mila euro netti al mese, che peraltro il presidente sta pensando di affidare a un fondo di garanzia per favorire il microcredito. L’annuncio ufficiale della devolution è atteso con ansia.
Ang, giovani d’Europa ballate la taranta.Tre dirigenti, dieci funzionari, diciannove istruttori e un misterioso “addetto”. E’ l’organico dell’Agenzia nazionale per i giovani, guidata dall’ex assessore allo Sport del comune di Catania, in quota An, Paolo Di Caro, qualificato su Internet Head of the Agency (a dispetto della sede nella romanissima via Sabotino, quartiere Prati), gagliardamente supportato dall’assistente Silvia Strada (Directorate General-General Affairs).
L’Ang, nata nel 2007 su decisione del Parlamento europeo per l’attuazione del programma “Gioventù in azione”, ha incassato lo scorso anno oltre 20 milioni di euro: 8.555.422 di contributi Ue e 11.814.763 di fondi statali italiani (i soli stipendi hanno assorbito 1.265.568 euro). Per fare cosa lo spiega (si fa per dire) l’articolo 2 dello statuto, che recita: “L’Agenzia promuove la cittadinanza attiva dei giovani e, in particolare, la loro cittadinanza europea; sviluppa la solidarietà e promuove la tolleranza tra i giovani per rafforzare la coesione sociale, favorisce la conoscenza, la comprensione e l’integrazione culturale tra i giovani di Paesi diversi…”.
Una ragione sociale sufficientemente generica (“L’espressione dimensione europea rappresenta un concetto ampio”, quasi mettono le mani avanti i curatori del sito dell’Ang) da aver consentito al vertice dell’organismo, nominato a suo tempo da Giorgia Meloni e da poco confermato dal governo Monti, di accogliere e finanziare in cinque anni 1.790 progetti, con il coinvolgimento di circa 30 mila giovani e per una spesa di 30.638.965 euro e 57 centesimi.
L’Agenzia che, come si legge all’indirizzo web, “Lavora per essere un interlocutore aperto, serio e credibile” e vanta al suo attivo manifestazioni del calibro del “Festival della Taranta”, ha approvato, per esempio, un’iniziativa proposta da Syraka, Associazione musicale e culturale di Siracusa, e intitolata: “Il bello della musica contro l’emarginazione sociale e per una concreta crescita inclusiva”. “La musica”, si legge nello schema riassuntivo del progetto, “ha la capacità di educare i ragazzi al bello, seguendo soprattutto delle regole che non vengono imposte dall’alto ma che sono necessarie per raggiungere uno scopo”. Boh.
Unms, costa più di quanto spende.
Per ogni euro di assistenza che fornisco, ne spendo 2 e mezzo per pagare il personale. L’Oscar al rovescio per la quadratura dei conti va all’Unione nazionale mutilati per servizio, in sigla Unms, presidente il Grande ufficiale Alessandro Bucci. Un carrozzone, o piuttosto una carrozzella per le sue dimensioni, che dovrebbe andare in soccorso di militari delle Forze Armate, carabinieri, agenti di polizia e custodia, della Guardia di Finanza, magistrati e dipendenti civili della pubblica amministrazione che hanno avuto una disavventura fisica sul lavoro.
Ente morale dal 1947, di diritto privato dal 1978, l’Unione eroga contributi in caso di grave necessità, tutela gratuitamente gli iscritti nelle controversie di lavoro e li assiste nelle pratiche burocratiche. Di fatto quasi la metà di tutta questa assistenza morale e materiale (150 mila euro su 380 mila nel 2010) se ne va nelle spese della rivista bimestrale, spedita in cambio di una tessera che costa 41 euro l’anno e costituisce l’unica entrata certa, assieme al contributo statale. Ma i tesserati calano: erano 35.281 nel 2008, si sono ridotti di 2 mila 500 unità nel 2010.
Non calano, ma al contrario salgono, le spese per il personale e per i dirigenti, circostanza che ha provocato l’ira della Corte dei Conti. “Malgrado le ripetute raccomandazioni – si legge nell’infuocata relazione del 16 marzo scorso – è continuata l’erogazione agli organi di rimborsi forfettari, il cui importo, negli esercizi 2009 e 2010, è aumentato del 20 per cento”. Se lo statuto recita che “tutte le cariche elettive dell’Unione non sono retribuite”, i fatti dicono invece che c’è un compenso per il presidente nazionale, salito dai 21.174 euro del 2008 a 25 mila euro del 2010, mentre rimborsi vanno anche a vice presidente, comitato esecutivo e sindaci, e c’è un gettone di presenza per il Consiglio nazionale salito negli stessi anni da 77 a 95 euro. Le spese per il funzionamento (505 mila euro nel 2010 per il personale e 270 mila per organi e consulenze) surclassano quelle delle attività istituzionali (380 mila euro, come detto), il personale viene assunto senza pianta organica, le scritture contabili sono carenti e non si capisce nemmeno quale sia la misura del contributo statale, tuona la Corte. Dovrebbero a dir poco fischiare le orecchie al presidente e alle 28 “unità di personale” della sua truppa Unms.
Monti, perche’non tagli qui?
Commenti disabilitati.