Il veleno antitedesco inquina la politicae l’economia europea con caratteristiche, per rozzezza e approssimazione, proprie a ciascun paese, in particolare l’Italia e la Francia. Il provincialismo populista antigermanico caratterizza l’approccio italiano, nona caso interpretato in prima persona con istrionico empito da Berlusconi, il che dovrebbe indurre ad una più saggia prudenza i suoi partner, occasionali o meno, di cordata governativa.
Non si tratta, comunque, di contrapporre le cafonaggini nostrane alle risate di scherno della Cancelliera, quanto di saper leggere con attenzione i profondi sommovimenti di una politica europea che sta cambiando paradigma con rischi per l’Italia assai più incombenti che per tutti gli altri Paesi associati all’Unione, in primo luogo la Germania. Per chi voglia fare il punto con dovizia di documentazione si legga l’ottimo libro, recentemente edito da Donzelli, Cuore tedesco, del germanista Angelo Bolaffi, per molti anni direttore dell’Istituto di cultura italiana di Berlino. “In principio c’è una data, il 9 novembre 1989, la caduta del Muro di Berlino. Quel giornoè finito il Novecento”. Con queste parole Bolaffi introduce il suo libro che spiega come da quell’episodio, inizialmente locale, da nessuno neppure lontanamente previsto né voluto, si diparta la dissoluzione dell’ordine geopolitico, uscito dalla seconda guerra mondiale e si apra un nuovo capitolo della storia europea o, meglio, “una nuova era della storia umana che avremmo imparato a chiamare globalizzazione”.
Un approfondimento di particolare interesse si trova nelle pagine che lo studioso dedica al rovesciamento di senso dell’Unione europea. Se il vecchio europeismo era nato e si reggeva (vedi il rapporto franco-tedesco) per difendere il Vecchio Continente dai fantasmi del proprio passato (le ricorrenti guerre civili europee), il nuovo europeismo dovrebbe servire a scongiurare l’Unione dalle minacce presentie future. Col 1989 tutto è cambiato rispetto al punto di partenza e rischia di provocare una paradossale eterogenesi dei fini. “Anziché unire il demos europeo minaccia, infatti, di trasformarsi in fattore di crisi, in motivo di nuove divisioni… Con disincantata lucidità l’ex cancelliere socialdemocratico Helmut Schmidt indica i termini del problema aiutandosi anche a ricercare le ragioni all’origine dell’odierna disunione europea nel terremoto geopolitico causato dalla caduta del Muro… La fine della guerra freddae la riunificazione della Germania hanno radicalmente cambiato i presupposti sui quali era stato costruito il progetto europeista annunciato da Schuman nel 1950”.
A questo punto Bolaffi affronta con ricchezza analitica e precisi richiami la questione centrale che travaglia l’Ue, le sorti dell’euro. “Avrebbe dovuto essere – scrive – lo strumento per spianare la strada verso la definitiva unità dell’Europa e invece ha provocato la più grave crisi nella storia del progetto europeista. Avrebbe dovuto avvicinare i popoli del Vecchio continente, dando loro quello che mai avevano avuto in comune, una moneta: invece li ha messi l’un contro l’altro armati, riaccendendo antichi egoismi e provocando nuovi risentimenti… Gli europei hanno imparato di nuovo ad odiarsi per colpa di questa feroce e per molti versi incomprensibile guerra dei tassi d’interesse (spread)… L’euro si è rivelato davvero una moneta della discordia”. Nella sua seconda parte l’autore propone una tesi affascinante, da una parte avversa a quanti, in nome dello sviluppo, vorrebbero rilanciare una politica di indebitamento (ma come dice Draghi: “Essa non è percorribile perché in tal modo noi graviamo sulle generazioni a venire”) e, dall’altra di accettazione dell’errore, ormai ineluttabile, che è stato compiuto nei tempi di costruzione della moneta unica.
Resta la via d’uscita che non è quella del rigore tout court ma dell’economia sociale di mercato, quel modello tedesco, sancito anche dal Trattato di Lisbona, che unendo l’austerità alla efficienza e alla produttività raddrizzerebbe le sorti dell’Europa e dell’euro in un rinnovato processo di unificazione non fittizia.
Moneta della discordia o rilancio dell’unione
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