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Mobilità e lavoratori precoci “insidiano” Monti

La prova della verità per il Governo Monti è arrivata prima del previsto, mentre ancora è fresco l’inchiostro con cui si scrivono i testi del decreto sulle liberalizzazioni e la Lega annuncia in Aula l’intenzione di presentare una mozione di sfiducia per il ministro Corrado Passera responsabile, a dire dei deputati del Carroccio, di non avere (sic!) ancora affrontato e risolto la crisi economica. Proprio oggi, prima in Commissione Lavoro, poi in Commissione Bilancio, il Pd, con la complicità del Pdl, andrà all’attacco della riforma delle pensioni nella sede impropria del decreto milleproroghe chiedendo modifiche su due aspetti cruciali.
Il primo, per la cui soluzione si era impegnato lo stesso Monti in conferenza stampa di fine anno, trova tutti concordi. Si tratta di evitare che dei lavoratori si trovino a essere senza reddito e senza tutele sociali per molti anni prima di poter accedere a una pensione i cui termini di accesso si spostano avanti nel tempo in conseguenza dell’allungamento della vita lavorativa e dell’elevazione dell’età pensionabile. La legge per ora tutela, entro limiti finanziari prestabiliti (e informalmente ragguagliati a 65mila casi) i lavoratori in mobilità o inclusi in fondi di solidarietà, nonché quelli in prosecuzione volontaria: tutti questi mantengono i previgenti requisiti.
Risultano pertanto escluse talune fattispecie come, per esempio, coloro che hanno definito con i propri datori accordi di esodo parametrati al periodo che li separava dalla pensione. Va da sé che, allungandosi il tempo di attesa, le extraliquidazioni concordate non assicurano più un’adeguata copertura. A tale proposito sono stati presentati parecchi emendamenti che si sono riferiti alle promesse del presidente del Consiglio e dello stesso ministro Elsa Fornero.
Ma c’è un’altra insidia. Il Pd vuole eliminare la penalizzazione economica che accompagna il pensionamento anticipato. La legge stabilisce due requisiti per ottenere il trattamento pieno: 62 anni di età e 41 e un mese di anzianità se donna, 42 e un mese se uomo. Se vi sono degli scostamenti anagrafici tra questi due requisiti, i due anni più vicini sono penalizzati ciascuno con un taglio dell’1% dell’importo della pensione, gli altri con una riduzione annua del 2%. In sostanza, si arriverebbe nella generalità dei casi a una penalizzazione del 6-8%. Il Pd ne fa una questione di principio a favore dei cosiddetti precoci, come se aver lavorato 41 o 42 anni dovesse consentire comunque il premio della pensione, a prescindere dall’età anagrafica. Eppure il problema del sistema pensionistico non è quello di quanto a lungo si è lavorato, ma a quale età si va in quiescenza.
L’aria che tira annuncia una marcia indietro del Governo. Anche il Pdl ha capito l’antifona e non vuole farsi scavalcare da un diktat della sinistra nei confronti del Governo. Ed è un peccato che il partito di Alfano non capisca che sul terreno delle pensioni oggi, del mercato del lavoro domani, il Pd cercherà (e riuscirà ?) a imporre una “discontinuità” con la linea del precedente esecutivo. Ma del resto che cosa possiamo aspettarci ? Il Governo Monti somiglia sempre più ad una “zattera della Medusa” dispersa tra flutti anch’essi sempre più impetuosi. Le categorie che si aspettano di essere colpite dalle liberalizzazioni occupano le strade, proclamano scioperi e serrate. Nel suo peregrinare nelle capitali europee, il Premier riceve sorrisi e pacche sulle spalle da partner che tra pochi mesi saranno dei signori e delle signore “nessuno”, cacciati dai loro elettorati.
L’Italia sta andando a picco e con essa l’Europa tronfia e benestante, fiera di un modello sociale che ne ha ucciso la competitività. Se questo è lo scenario chi se ne frega delle penalizzazioni! Consentiamo pure a qualche cinquantenne di andare ancora in pensione, prima che giunga il momento in cui le pensioni non riusciremo più neanche a pagarle.

Fonte: Sussidiario.net del 18 gennaio 2012

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