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Mirafiori e la Fiom:Proposta sul caso Fiat

Passata la prima ondata di commenti sull’intesa raggiunta tra la Fiat e quattro dei sindacati presenti a Mirafiori (Cisl, Uil, Ugl e Fismic), vale la pena di ragionare più in profondità sulle conseguenze di un accordo definito «storico». E che però, a giudizio di molti, presenta un grave difetto: distorce i meccanismi della rappresentanza perché esclude un sindacato, la Fiom, che pure ha largo seguito in quella fabbrica.
Siccome la rappresentanza è sorella della democrazia non è peregrino chiedersi come sia possibile eliminarlo, quel difetto, senza cambiare la sostanza. Ovvero portando a casa il mega-investimento su Mirafiori destinato a rilanciare la Grande Fabbrica con la produzione di modelli di vetture a maggior valore aggiunto.
È paradossale ma l’esclusione della Fiom si basa giuridicamente sullo Statuto dei lavoratori, la mitica legge 300 del ministro Giacomo Brodolini e di Gino Giugni, giudicata da tutte le sinistre operaiste e antagoniste una sorta di linea Maginot contro il capitalismo selvaggio. L’esempio più noto è quello dell’articolo 18 della stessa legge, articolo che rende impossibili i licenziamenti individuali nelle aziende sopra i 15 dipendenti. A tagliare fuori la Fiom però è l’articolo 19 che riconosce il diritto di rappresentanza alle sole sigle sindacali presenti in fabbrica che abbiano però sottoscritto gli accordi aziendali. Pochi lo ricordano ma l’articolo 19 è stato modificato per effetto del referendum radicale del ’95 sulle buste paga dei lavoratori e proprio questa modifica risulta oggi taglia-Fiom.
Come verranno individuati i nuovi rappresentanti sindacali di Mirafiori? Il «contratto di Mirafiori» voluto da Sergio Marchionne prevede la designazione da parte delle cinque organizzazioni firmatarie con il criterio di 15 membri ciascuno. Non saranno quindi i lavoratori Fiat a scegliere i loro rappresentanti, ma Cisl, Uil, Ugl, Fismic e l’Associazione Quadri e Dirigenti a nominarli. Un po’ come avviene in politica oggi con il Porcellum. Ma siamo sicuri che sia corretto (oltre che lungimirante) seguire questa strada? L’articolo 19 in verità quando parla delle rappresentanze sindacali aziendali dice che possono essere costituite «ad iniziativa dei lavoratori» (e non degli iscritti ai sindacati) e quindi si presta a diverse interpretazioni. E soprattutto lascia aperta la porta a una vera scelta dal basso dei delegati e non a una designazione dall’alto. Quando si parla di rappresentanza questi non sono dettagli ma la vera sostanza.
Come si può, dunque, riuscire a salvare l’accordo e tener conto della reale presenza Fiom in fabbrica? Un link c’è e potrebbe passare attraverso un’azione combinata tra Torino e Roma. Nella città della Mole si va al referendum di Mirafiori e vincono i sì. Nel frattempo in sede nazionale la Confindustria negozia con Cisl, Uil e Cgil un accordo interconfederale sulle regole della rappresentanza. L’accordo oltre a disciplinare i meccanismi per l’elezione delle Rsu dovrebbe prevedere alcuni principi che diano alle aziende la certezza dell’applicazione delle intese raggiunte. Ad esempio dovrebbe sancire che le organizzazioni confederali e i loro sindacati di categoria non possono disconoscere accordi che: a) siano stati approvati da una coalizione di sindacati che rappresenti la maggioranza dei lavoratori; b) siano stati sottoposti eventualmente a un referendum in fabbrica. In questo modo si costringerebbe la Fiom a misurarsi con una metodologia democratica di convalida degli accordi difficilmente contestabile e allo stesso tempo però i metalmeccanici della Cgil non resterebbero esclusi pregiudizialmente dall’elezione (dal basso) dei delegati. Più consenso, meno ingovernabilità.

Fonte: Corriere della Sera del 3 gennaio 2011

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