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Mezzo passo per l’Unione bancaria

Dopo una giornata di incontri per scrivere la formula anticrac creditizio, c’è la base legale per decidere. Dossier complesso. Due riunioni martedì e mercoledì prossimo. Salvataggi gestiti dalla Commissione e fondo di intervento semifederale. Serve altro lavoro.
Ancora un pezzo di accordo sull’Unione bancaria, con un rinvio della decisione finale alla prossima settimana, una confezione incartata di speranza forzata. «Abbiamo una base legale chiara per finalizzare l’intesa», ha annunciato verso l’una della notte di ieri il ministro lituano dell’Economia, Rimantas Sadzius, presidente di turno dell’Ue. Più chiaro sembra il quadro sulla gestione delle crisi creditizie nazionali (risoluzione), che dovrebbe essere affidato fra mille controlli alla Commissione Ue. Più aperto il dibatto sui soldi, sui salvataggi e sul ruolo dell’apposito fondo: si aver alla fine uno strumento unico federato e coperto a livello locale, così Berlino sarà certa che nessuno pagherà per le crisi altrui. Martedì sera, nuova riunione dell’Eurogruppo. Mercoledì Ecofin. Si vuole chiudere prima che, giovedì, i leader dell’Ue arrivino a Bruxelles per il summit di Natale.
L’Unione bancaria è un progetto in tre stadi concepito per garantire la stabilità del sistema creditizio europeo e scongiurare nuovi crac a ripetizione come capitato dopo la crisi finanziaria esplosa nel 2007. Il ministro delle Finanze Fabrizio Saccomanni lo ha spiegato durante la riunione dei ministri Ecofin dicendo che «da un lato si vuole rompere il legame vizioso fra i dubbi sulla solidità dei governi e quelli sulla tenuta solidità delle banche, che interagiscono a vicenda creando tensioni sui tassi». Dall’altro, «si cerca di evitare la frammentazione del mercato finanziario europeo che purtroppo si vede nei diversi tassi che sono pagati dalle imprese in paesi come Italia o Germania». In una sola formula, mettere quanto più possibile al sicuro l’universo del credito e i risparmiatori dalla minaccia di altri tracolli.
L’Ue ha già deciso di attribuire il ruolo di coordinamento della vigilanza sulle 130 banche sistemiche alle Bce, che prenderà il timone gradualmente entro il 2014, dopo aver fatto un checkup completo al sistema. In tale prospettiva il problema è chi decide e chi paga. Il primo compito è affidato alla Commissione Ue, punto di arrivo delle decisioni delle autorità nazionali. Sarà la combinazione del livello locale (un consiglio di risoluzione composto anche dalle autorità nazionali) con Bruxelles dotata dell’ultima parola per stabilire se una banca deve essere messa in risoluzione, dunque portata attraverso una sorta di fallimento pilotato. Il raggio di azione dovrebbe riguardare le principali banche dell’Union, Eurozona e vicini. Sino a 250, ha spiegato il presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem.
Secondo il piano messo sul tavolo dai lituani, che hanno lavorato su indicazioni di cinque paesi, fra cui Francia, Germania e Italia, il fondo di risoluzione che si lega al meccanismo unico di gestione delle crisi bancarie dovrebbe nascere attraverso un’intesa fra i governi, collocata fuori dai Trattati, così come accadute pe rle regole macro di coordinamento economico nel Fiscal Compact.
Dovrebbe essere definito il principio secondo cui gli interventi di risoluzione saranno graduali. Si delinea una soluzione che carica il primo passaggio sulle spalle degli azionisti (sino all’8% degli asset complessivi, è l’ipotesi sul tavolo), poi tira in ballo il resto del debito, arrivando per gradi agli obbligazionisti, alle imprese, ai depositi oltre 100 mila euro per un massimo (per ora) del 5%.
Qualora tutto ciò non fosse sufficiente, interverrebbe il Fondo di risoluzione (sottoscritto dalle banche per 45-65 miliardi in 10 anni di fase transitoria) che l’Italia, come la Bce, auspica essere unico, mentre si discute pure l’ipotesi d’una federazione di fondi nazionali. Possibile un intervento finale del fondo salvasti Esm, su cui Berlino nicchia.
Base legale o no, la partita resta molto da giocare. Servirà ancora una notte, forse due. Il commissario Ue ai mercati finanziari è molto preoccupato per come il progetto sarà accolto dal parlamento europeo, coprotagonista della delibera finale. Un pensiero saggio. In Europa non decidono gli eurocrati, ma il governi e gli eurodeputati. E questi ultimi, col Trattato di Lisbona, sono diventati importanti quanto il conclave degli stati stessi.
Il Consiglio Ecofin si è occupati ieri anche delle regole per la tassazione del risparmio dei cittadini non residenti. Per mandarlo avanti, e stabilire regole di piena equità per i movimenti di capitali, occorre l’unanimità. Austria e Lussemburgo, gli ultimi che resistono al pieno scambio di informazioni hanno ribloccato il pacchetto, provocando l’irritazione dei partner. Italia e Francia, in particolare, hanno chiesto di portare la questione al Consiglio Ue della prossima settimana. «Siamo in una situazione paradossale, imbarazzante – ha protestato Saccomanni – non possiamo essere accusati di essere complici di quelli che sono a favore dell’evasione e dell’erosione fiscale». Il ministro del Granducato, a quel punto, ha saluto. Doveva partecipare alla presentazione del suo governo, nuovo solo nella forma, almeno per le paradisiache questioni fiscali.

Fonte: La Stampa 11 dicembre 2013

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