• domenica , 22 Dicembre 2024

Metti un computer nel vostro maestro

Dopo l’ultima “Linea di confine” sulle discutibili conseguenze del “successo formativo garantito” non pochi insegnanti mi hanno scritto: i più concordi nelle critiche ma qualcuno, viceversa, a difesa dei criteri che hanno ispirato le riforme, in particolare l’introduzione della docimologia (dal greco dokimoun, “mettere alla prova”), il grimaldello per scardinare il ruolo valutativo del docente. E, poiché in questa rubrica il dissenso è garantito, cedo la parola al prof. Enrico Peppe, che insegna matematica in un liceo romano.

“Nella valutazione – scrive – noi insegnanti agiamo spesso in maniera incauta. Ad esempio effettuando medie aritmetiche come se esistesse una unità di misura costante. Utilizziamo voci valutative come “cinque meno” o “sei e mezzo” elaborate come se si fosse in possesso di chissà quali strumenti capaci di compiere discriminazioni molto sottili e precise. Questo è il motivo che ha spinto diversi ricercatori a centrare la propria attenzione sull’approfondimento delle caratteristiche formali della strumentazione valutativa. La cultura del bingo è stata quindi debellata grazie al lavoro di questi studiosi. E’ vero che a volte le tecniche utilizzate sono eccessivamente macchinose e che la presunta oggettività sia difficile da raggiungere… però è fuori discussione che le valutazioni delle interrogazioni orali siano spesso fuorviate da aspetti di soggettività legati allo stato del misuratore”.

Ho messo qualche momento per capire che “misuratore” stava per insegnante ma poi mi sono subito convinto che per risolvere il dubbio che tormenta il professor Peppe l’unica via logica di uscita implichi la sostituzione del fallibile uomo/donna insegnante con un neutro computer dispensatore di quiz, a cui lo studente potrebbe rispondere introducendo una scheda con le crocette di risposta. Non è detto che non ci si arrivi ed anche presto. Dopo di che si potrebbe anche abolire la scuola come edificio inutile e distribuire personal computer a domicilio.

Peraltro, anche tra i docenti di docimologia, come il prof. Guido Benvenuto della Sapienza, emergono seri interrogativi. Egli si lamenta, infatti, dell’applicazione perversa che della sua disciplina viene fatta dai pedagogisti ministeriali: “La ricerca della oggettività – scrive – è una questione di facciata visto che gli strumenti di cui ci si avvale sono davvero lontani dal rigore e dalla trasparenza richiesti. Una seria cultura docimologica richiederebbe di rivalutare la responsabilità dei singoli docenti nella valutazione, mentre questi sono sempre più spogliati di tale compito, di preparare gli insegnanti alla risoluzione dei problemi valutativi, affrontandoli con strumenti flessibili e rigorosi al contempo, di promuovere esami finali di massima validità e affidabilità. Invece i criteri sono ancora il regno dell’approssimazione, e si promuovono solo strumenti flessibili come il portfolio”.

L’accenno al portfolio mi consente di citare anche un testo a supporto del mio convinto antiriformismo scolastico, una analisi, come sempre pregevole e competente dell’ufficio studi della Gilda, combattivo sindacato autonomo della scuola: “C’è una differenza fondamentale tra il portfolio e gli altri strumenti valutativi che lo hanno preceduto. Le valutazioni tradizionali registravano i successi e i fallimenti dell’allievo, determinati sulla base di ciò che egli doveva conoscere in un dato anno di specifico percorso scolastico. Il mancato raggiungimento degli obbiettivi prefissati aveva, almeno in linea teorica, delle conseguenze: recupero, ripetenza. Questo meccanismo si è progressivamente indebolito, provocando, di fatto, una diminuzione del livello generale di preparazione.

Il portfolio è totalmente diverso. Esso raccoglie, infatti, solo le prove documentali positive e registra unicamente le competenze acquisite dal soggetto, cioè i successi e non i fallimenti. I materiali, si legge nelle indicazioni, sono quelli “capaci di descrivere le più spiccate competenze del soggetto”, i commenti inseriti devono essere esemplificativi delle “capacità e aspirazioni personali”. E via dicendo. Anche se permangono cascami della vecchia scuola (la ripetenza è teoricamente prevista anche se fortemente condizionata dal decreto attuativo) lo strumento selettivo si trasforma essenzialmente in uno strumento promozionale”. Non è un caso che il termine portfolio sia mutuato dal mondo dei fotografi di moda e delle aspiranti stelline dove è utilizzato come dossier contenente le più studenti immagini della futura diva. (O, in caso negativo, della futura commessa di supermercato).

Fonte: La Repubblica del 6 giugno 2005

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