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Metalmeccanici, il poco di oggi sarà il molto di domani

CON LA ripresa dei negoziati per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici, gli industriali sperano non soltanto di trovare un accordo sugli aumenti da riconoscere al personale, ma anche di contrabbandare un po’ più di contrattazione aziendale ed un po’ meno di contrattazione nazionale. Ma, perché è essenziale spostare verso la contrattazione aziendale “il grosso della redistribuzione del reddito”? Pietro Ichino, un ottimo docente ex-sindacalista che ha il difetto di ragionare con la propria testa e di guardare al mondo che cambia, ha scritto che le parti sociali debbono ritrovare la capacità di negoziare nuove soluzioni che si adattino alle condizioni esistenti e non a quelle del passato. Così, se le parti sociali fossero libere di contrattare al livello più decentrato, ossia aziendale, si otterrebbero formule più adatte al mercato locale, ai progetti di sviluppo dell’azienda e soprattutto alle condizioni dell’azienda stessa. Il risultato sarebbe un mercato più flessibile, ossia più reddito e più occupazione, come molti paesi sono già riusciti a realizzare. Ma come indurre i miopi senza occhiali a guardare lontano? I sindacalisti sono per lo più funzionari anziani non diversamente dai dirigenti delle cooperative. Dai tempi di Di Vittorio, i sindacati si siedono al tavolo delle trattative come se si trattasse di giocare al braccio di ferro. Il solo argomento valido, per loro, è il confronto di forza. Sono abituati a pretendere “tutto e subito”. Purtroppo, la base e i dirigenti che la seguono invece di guidarla non vedono al di là del proprio naso. Nessuno ha mai educato i lavoratori a preferire il meglio domani che il poco oggi. Come convincerli che se un’azienda rischia di morire per insufficiente competitività interna o internazionale, gli alti salari strappati oggi ai padroni che andranno in fallimento li trascineranno sul lastrico? Altro che precariato! E poi, al di là della visione aziendale, come non capire che un azienda che sopravvive grazie a debiti crescenti o sugli aiuti di Stato, determina perdite per l’intero paese ritardandone il risanamento. È questa in fondo la filosofia di un recente editoriale di Padoa Schioppa (“distruzione creativa”). In Italia, poi, oltre cinquanta anni di educazione marxista rendono inconcepibile fiducia e collaborazione tra dipendenti e datore di lavoro. L’imperativo della lotta di classe vieta ai sindacalisti la rinuncia a qualsiasi conquista del lavoro. Non si ammettono, ad esempio, sabati lavorativi per accordo aziendale. Non esistono ritirate strategiche per ottenere contropartite in altri campi. Non ci si avvede – come ha scritto Innocenzo Cipolletta – che il mondo cambia come culture, tecnologie, età lavorativa, aree commerciali e che ad ogni mutazione si deve far fronte con mutati rimedi. L’educazione dei lavoratori è ormai in balia delle Tv e dei mestatori di piazza. La pubblica istruzione fu sostituita dalla Buonanima con l’educazione nazionale. Oggi ci vorrebbe l’educazione mondiale.

Fonte: Il Tempo del 30 dicembre 2006

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