• sabato , 23 Novembre 2024

Mediobanca, guerra d’Indipendenza

L’indipendenza di Mediobanca, che prima si giocava nell’equilibrio sempre turbolento tra Alessandro Profumo e Cesare Geronzi, oggi invece si gioca tra Vincent Bolloré e Dieter Rampl. Milano non è stata invasa da francesi e tedeschi ma si avverte che la fragilità degli assetti nazionali lascia spazio a personaggi che sino a ieri, benché presenti sulla scena non ne erano i protagonisti. A dare in prospettiva qualche preoccupazioni in più a Piazzetta Cuccia non è il presidente austrotedesco di Unicredit ma l’azionista francese, che essendo lì ormai da un decennio e più si potrebbe quasi definire storico. Il cambio della guardia al vertice di Unicredit non mancherà di avere effetti su Mediobanca, di cui Unicredit è il primo azionista, ma dall’aria che si respira tra le fotografie dei padri fondatori, gli arazzi e le collezioni di monete storiche che decorano gli austeri saloni dell’istituto guidato da Renato Pagliaro e Alberto Nagel, non si ha l’impressione che questi effetti siano considerati traumatici. Il rapporto tra Mediobanca e Profumo non era mai stato facile, e se da una parte c’è la battaglia che Profumo ha fatto per difendere l’indipendenza del management dell’istituto, dall’altra c’è il fatto che era stato lui a portare alla presidenza di Mediobanca Cesare Geronzi, ovvero colui che dal primo giorno è stato percepito come il pericolo maggiore per quell’indipendenza.
Il rapporto con Dieter Rampl, il presidente di Unicredit che insieme al vice presidente Fabrizio Palenzona lo rappresenta nel consiglio di Mediobanca, è stato lineare. Negli anni si è costruita anche una familiarità che, insieme ai rapporti di lunga data dell’istituto con le fondazioni di Verona e Torino, fa ritenere in Piazzetta Cuccia che se il rapporto con Unicredit dovesse di qui in avanti cambiare, sarebbe in meglio. La presenza di Unicredit nell’azionariato è considerata fondamentale dentro Mediobanca, è la garanzia contro gli appetiti che potrebbe avere qualche grande competitor internazionale, ma soprattutto il solo azionista in grado di equilibrare la presenza francese, rappresentata da Vincent Bolloré. I ragionamenti che si fanno in questi giorni prevedono una presenza stabile di Unicredit nell’azionariato, come è stato confermato da Rampl e dal nuovo amministratore delegato Ghizzoni, una linea di continuità con l’impostazione degli anni scorsi in difesa dell’autonomia del management e forse, in più, una maggiore collaborazione nel business.
Che la figura di Rampl sia emersa in questa fase di passaggio come il volto pubblico di Unicredit e il fatto che quel volto non sia italiano non viene considerato un problema. I tedeschi hanno uomini in consiglio ma non consistenti pacchetti di azioni, e la presenza nel board di uomini come Theo Waigel e il presidente del consiglio di sorveglianza della Daimler Manfred Bischoff, con l’esperienza che portano, viene considerata un fatto positivo. Vengono colti peraltro i segnali che arrivano dall’esterno, i primi attacchi al ‘tedesco’ Rampl, come l’indicatore del fatto che Rampl è considerato in certi ambienti come un ostacolo a fare giochi su Mediobanca.
Non ci sono e non ci saranno, secondo i due uomini a vertice di Piazzetta Cuccia, né la fusione tra Mediobanca e Generali né quella tra Mediobanca e Unicredit. Se c’è qualcuno che pensa all’una o all’altra ipotesi dovrà rimettere i suoi piani nel cassetto, almeno per il momento, non solo per l’opposizione strenua che si annuncia dall’interno di Mediobanca, ma anche perché la crisi ha svelato limiti e pericoli della banca universale, mentre Basilea III prevede meccanismi e parametri che non favoriscono l’unione di banche di tipologie diverse.
La stessa Basilea III, con i suoi requisiti più severi di capitale di vigilanza e con la possibile (non è stata ancora decisa in via definitiva) sottrazione da quel capitale delle partecipazioni assicurative e quindi nel caso quella di Mediobanca in Generali, che avrebbe potuto riaprire i giochi non sembra preoccupare più di tanto il management di Piazzetta Cuccia. Secondo i calcoli fatti all’interno, anche nell’ipotesi più penalizzante, per assorbire il valore di quella partecipazione e ritrovarsi con un capitale di vigilanza in linea con i nuovi parametri, Mediobanca dovrebbe accantonare lo 0,6 per cento del suo attivo in ciascuno degli anni che vanno da qui al 2018, quando la nuova normativa entrerà pienamente in vigore. Uno sforzo che l’istituto ritiene di poter sostenere senza contraccolpi.
La conclusione di tutto ciò è che Mediobanca non intende cedere la sua indipendenza, e quindi fondersi con Generali o Unicredit, che può tenersi senza problemi la partecipazione in Generali così com’è e che non ha bisogno di aumenti di capitale per conservare il suo perimetro attuale. Denaro agli azionisti si chiederà solo se e quando ci saranno opportunità per allargare quel perimetro con acquisizioni nei settori del credito al consumo o del corporate e investment banking.
Se tuttavia la nuova situazione di Unicredit viene percepita come rassicurante e il quadro regolamentare nuovo non tale da alterare equilibri e strategie dell’istituto, il rinnovato attivismo di Vincent Bolloré qualche movimento potrebbe determinarlo.
Il ‘finanziere bretone’ come Bolloré è conosciuto in Francia, è stato particolarmente attivo nelle ultime settimane, aumentando dal 5 al 6 per cento la sua partecipazione in Mediobanca ed ha cominciato ad acquistare azioni Premafin, la cassaforte dentro la quale la famiglia Ligresti conserva il pacchetto di controllo di Fonsai. Quel passaggio dal 5 al 6 per cento di Mediobanca viene spiegato con il desiderio di abbassare il prezzo di carico del pacchetto, con il primo 5 per cento che era stato acquistato a prezzi assai più alti di quelli attuali, anche se qualcuno nota come in realtà quell’1 per cento in più sia frutto di un ‘malinteso’ (probabilmente voluto), in quanto il patto di sindacato ha consentito ad un aumento delle quote del gruppo francese, mentre Bolloré ha interpretato quello spazio come un aumento delle sue.
Niente di grave, soltanto un po’ di dietrologia. Perché Bollorè è considerato molto vicino a Cesare Geronzi, sempre sospettato di tramare anche dalla sua da poco conquistata poltrona di presidente delle Generali: il filo GeronziBollorèTarak ben AmmarBerlusconi è consolidato, e quando uno dei soggetti della catena si muove si tende a ritenere, probabilmente senza sbagliarsi, che l’intera catena ne sia non solo al corrente ma condivida anche gli obiettivi al momento non del tutto chiari che con quell’azione ci si propone.
Dove però lo scossone potrebbe essere più forte è in Premafin. Il gruppo Ligresti sta attraversando un momento delicato, con Fonsai in difficoltà, probabilmente con la necessità di rimpinguare le riserve tecniche e quindi di fare cessioni rilevanti e/o aumentare il capitale; con Premafin, la scatola che ha il controllo di Fonsai, largamente indebitata e con serie difficoltà a pagare le rate dei suoi mutui, tanto da aver avviato la ristrutturazione del debito, e con infine Sinergia, la holding della famiglia Ligresti, anch’essa pesantemente indebitata. L’intero castello si regge sui dividendi di Fonsai, che la gestione ordinaria non promette in misura adeguata a servire i debiti né, tanto meno, a rimborsarli.
Ci si chiede allora come mai un finanziere avveduto come Bolloré sia andato ad investire in Premafin, con tutte le sue difficoltà. L’ipotesi più accreditata a Milano è che voglia accumulare lì dentro un pacchetto adeguato per favorire poi, quando sarà il momento, la cessione di Fonsai al gruppo francese assicurativo Groupama.
Questa ipotesi a Mediobanca non piace troppo, Salvatore Ligresti è un azionista e cliente di lunga data, e quello che a Piazzetta Cuccia si vorrebbe è riuscire ad accompagnarlo in una dura dieta dimagrante che sarebbe dolorosa certamente ma che, se fatta con rapidità e rigore, consentirebbe di conservare alla famiglia Ligresti il controllo di Fonsai. Questo è l’auspicio, che si scontra però con la consapevolezza che impostare e rispettare la dieta è una operazione difficile, viste le posizioni non sempre omogenee di Salvatore Ligresti, dei suoi figli e dei suoi collaboratori. La carta di emergenza, si ritiene in Piazza Affari, sarebbe la cessione della Milano, che consentirebbe di rimettere a posto i conti di Fonsai e, attraverso un dividendo straordinario, dare un gran sollievo a quelli di Premafin e di Sinergia. Nessuno tuttavia esclude che alla fine potrebbe dover essere ceduta l’intera Fonsai. E con Bolloré dentro Premafin il compratore più probabile diventa proprio Groupama.
Se così dovesse avvenire, per Mediobanca, che dai tempi di Enrico Cuccia ha sempre considerato Fondiaria la sua figlia prediletta, sarebbe un grande dolore, ma ancor più un problema perché allora sì che nel suo azionariato si aprirebbe una nuova fase di grande instabilità.Groupama infatti è già azionista di Mediobanca con un 3 per cento nel patto di sindacato e un altro 2 per cento fuori,per un totale del 5 per conto.Fonsai dal canto suo ha il 4 per cento di Mediobanca e mettendo insieme le quote in seguito all’eventuale acquisizione si arriverebbe al 9,il che farebbe di Groupama l’azionista principale di Piazzetta Cuccia.Ma Mediobanca è il primo azionista di Generali ed è molto difficile che l’antitrust possa lasciar passare sotto silenzio un assetto nel quale il gruppo assicurativo Groupama è il primo azionista di Mediobanca che a sua volta è il primo azionista delle Assicurazioni Generali.

Quelle azioni allora dovrebbero andare in cerca di nuovi padroni e a quel punto, c’è da scommetterlo, la partita si farebbe caldissima.

Fonte: Repubblica 11 ottobre 2010

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