«Le minacce una manifestazione di inciviltà» Alla guida «Resterò anche dopo il 2011, ma non so se sarò in carica per tutto il piano (fino al 2014 ndr)»
«Paura per le minacce? No. Certo, non fa piacere. Ma non è una questione personale. È una vicenda che denota mancanza di civiltà. Un male per il Paese. Per l’ Italia come per qualunque altro Paese. Noi, invece, speriamo che prevalgano comportamenti razionali». Al Salone di Detroit, l’ amministratore delegato di Fiat e Chrysler, Sergio Marchionne, si presenta a sorpresa col presidente del Lingotto, John Elkann, e liquida subito la questione delle stelle a cinque punte e delle scritte ingiuriose comparse su alcuni muri di Torino. Vuole parlare dei progressi della Chrysler, del referendum per Mirafiori, del clima di ripresa che si respira in America nel settore dell’ auto. Dopo aver convocato i giornalisti alle 7,45 del mattino di un’ alba gelida e serena, li rimprovera scherzosamente per le domande critiche che gli rivolgono: «Ma avete proprio dormito male. Andate giù, nell’ area espositiva e respirate il clima di fiducia che regna. E non me lo inquinate col vostro pessimismo». Battuta per battuta, ma Marchionne, quando trova il tempo di andare dal dentista? L’ incisivo che gli manca al centro della bocca sta diventando un segno distintivo, come il pullover nero. Lui ride: «Ci vuole tempo. Una volta ci sono andato, dal dentista. Di notte». Il dente che gli duole, adesso, è quello della Fiom. Quel Landini col quale non c’ è da dialogare: «Siamo in due mondi diversi, noi facciamo un discorso chiarissimo, parliamo di produrre auto in Italia, di massimizzare i modelli e l’ occupazione, loro vogliono parlare d’ altro, discorsi di lungo periodo, Chrysler, ideologia. Che differenza dal sindacato Usa. Con loro si discute, ma quando si fa un accordo, si va avanti, si passa ai fatti. E tutti lavorano in un’ unica direzione. Poi, quando finirà la tregua, verrà il momento di rivendicare. Ma avendo prima creato ricchezza». Eppure la Fiom torna di continuo: «Come si fa a discutere con chi eccepisce su tutto. Anche sulla legittimità di un referendum per Mirafiori che è stato voluto dal mondo del lavoro. L’ hanno indetto i sindacati ma per la Fiom è illegittimo. Sarebbe colpa nostra, della Fiat. Ma come si fa?» L’ ala sindacale che contesta l’ accordo vuole ricorrere al tribunale del lavoro. «Lo facciano pure», replica Marchionne. «Raggiunto il 51% dei consensi al referendum, si chiude il discorso». E se l’ accordo non passerà? «Non faremo l’ investimento e torneremo a Detroit a festeggiare, quantomeno, i successi della Chrysler, un gruppo che abbiamo portato anche in Italia». È già pronto il «piano B» per le produzioni che erano state destinate a Mirafiori? «Di piani B ne abbiamo a volontà: in Canada e negli Usa tutti ci chiedono di produrre di più negli stabilimenti, da Brampton a Sterling Heights. Chiedono di introdurre il terzo turno, di lavorare sei o anche sette giorni a settimana. Solo da noi tutto questo è un problema. Solo in Italia devi assumere il 115% della forza lavoro perché ti manca sempre un 15% di presenze in fabbrica: non succede in nessuna parte del mondo. In Italia, invece, sembra un fatto quasi naturale. Un problema strutturale. Non si può più andare avanti così. Chiediamo solo di restare in Italia, producendo in condizioni di economicità. E rischiamo in proprio. Non abbiamo chiesto niente a nessuno, anche se all’ estero, dagli Usa al Brasile, i governi incentivano gli investimenti industriali. Ma se ottenessimo un euro in Italia parlerebbero della solita Fiat che si fa assistere dallo Stato e quindi non chiediamo nulla». E Marchionne, fino a quando resterà a capo dei due imperi automobilistici? «Sicuramente oltre il 2011. Non so se fino alla conclusione del piano quinquennale, nel 2014».
Marchionne:”Mirafiori? Ci sono tante alternative”
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