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Ma ora hanno capito e lottano per il futuro

di Enrico Giovannini

«La giovinezza è ilmomento migliore per essere ricchi,e il momento migliore per essere poveri». Questa frase attribuita a Euripide, uno dei maggiori poeti greci dell’antichità, descrive con straordinaria efficacia la parabola delle classi giovani nei Paesi dell’Ocse nel corso degli ultimi quarant’anni. E soprattutto di quelle che vivono in Italia.

A metà degli anni ’80, infatti, l’incidenza della povertà era molto più alta nelle classi anziane che in quelle giovani. Oggi, la curva sí è completamente ribaltata: è massima tra i minori e i giovani adulti, e minima tra gli anziani.

Il processo di inversione della curva, ben descritto nei numerosi studi dell’Organizzazione per la Cooperazionee lo Sviluppo Economico(Ocse) dedicati al fenomeno della disuguaglianza, ha motivazioni complesse e riguarda la stragrande maggioranza dei Paesi industrializzati. Ciò vuol direche esso ha radici profonde nel modo in cui le economiee le società capitalistiche hanno funzionato negli ultimi quarant’anni, cioè a partire dalla rivoluzione neoliberista thatcheriana e reaganiana. Dunque, supponendo di voler cambiare tale situazione, ilprimo passo da compiere è prendere coscienza della enormità del compito, che non può certo essere realizzato con un singolo intervento legislativo o l’ennesimo bonus.

Nell’articolo di Gloria Riva si affrontano alcune dei temi chiave che riguardano la “questione giovanile” nel contesto italiano: ilc osto dei figli, la formazione, il funzionamento del mercato del lavoro, gli ammortizzatori sociali, il futuro del sistema pensionistico. Le ho ordinate usando come criterio il “ciclo di vita”: esso aiuta a comprendere la complessità della tematica e la necessità di un approccio sistemico alla questione giovanile e a quella, più generale, di “giustizia tra generazioni”.

Dal punto di vista del Paese nel suo complesso (non dei singoli), il primo problema – il costo dei figli – ha a che fare con la necessità di invertire lo squilibrio demografico che caratterizza sempre più aree del mondo, e specialmente l’Italia: una piramide della popolazione con pochi giovani e tanti anziani non è sostenibile né sul piano economico, né su quello sociale. Ridurre il costo di generare e crescere figli è una possibile soluzione al problema, oltreche una risposta al legittimo desiderio di genitorialità. Ma non è l’unica: l’altra è quella di programmare flussi migratori da Paesi europei e non europe in grado di riequilibrare la piramide demografica.

Un Paese che volesse pensare seriamente al proprio futuro dovrebbe porsi, prima di tutto, il problema di qual è la numerosità e la composizione per età della popolazione “desiderata” per i prossimi 30 anni, e poi capire come realizzare quell’obiettivo e quali sono i costi che è disposta a sostenere per raggiungerlo. Mettere in campo politiche per aiutare a generare ed educare i figli per poi vederli andare via appena crescono per mancanza di opportunità non risolve il problema demografico.

Così come non lo risolve una politica migratoria che guarda semplicemente al numero di “sbarchi” sulle coste del Sud Italia, ma non si pone il tema dell’attrazione di persone giovani di talento, magari da altri Paesi dell’Unione europea. Analogamente, la “caccia” al pensionato d’oro straniero sembra una buona idea sul piano economico, ma non lo è necessariamente su quello demografico.

Il secondo tema è quello della formazione, e della formazione su tutto l’arco della vita, a partire dalla fase iniziale, quella degli “0-6anni”. I dati dell’Ocsemostrano, infatti, che frequentare l’asilo incide positivamente sulle competenze dei ragazzie delle ragazze di 15 anni. Come sappiamo, l’Italia è uno dei Paesi in cui le condizioni socioeconomiche della famiglia di origine incidono maggiormente su tali competenze e, ingenerale, sugli sbocchi lavorativi. D’altra parte, l’uscita precoce dal sistema di istruzione e formazione è ancora molto elevata (il relativo tasso supera il 14%) e in aumento negli ultimi anni, conforti disuguaglianze tra italiani e quelli che ci ostiniamo a chiamare stranieri, anche se sono nati in Italiao sono arrivati nel nostro Paese da bambini. Infine, l’Italia ha un tasso di laureati bassissimo, in assoluto e in confronto ai Paesi europei. Nonostante tutti gli interventi operati nel corso degli anni, la scuola, l’università e ilsistema formativo per gli adulti non appaiono adeguati alle sfide odierne e quelle future.

Ma non si tratta solo di una questione che riguarda le politiche pubbliche. L’investimento nelle persone è ritenuto da molti quasi uno spreco di risorse, il che spiega la bassa intensità della formazione svolta dalle imprese nei confronti dei propri dipendenti. Non a caso, i salari medi d’ingresso dei giovani sono molto bassi (un dottore di ricerca italiano che sceglie di andare all’estero guadagna mediamente mille euro al mese in più di un compagno di corso che viene assunto in Italia) e la progressione stipendiale dei giovani meritevoli è meno veloce di quanto avviene nelle imprese europee. Ovviamente, sappiamo che questo dipende anche dalla struttura dimensionale e dalla scarsa propensione all’innovazione di tante imprese, le quali controbilanciano i comportamenti delle tante imprese eccellenti che operano sul territorio nazionale. Ciò che si rileva ai fini di ciò di cui stiamo parlando è che l’inversione della curva dell’incidenza della povertà per età dipende anche dal cambiamento della struttura produttiva, non solo da quanto si fa per migliorare le strutture educative e formative.

Potremmo fare analoghi discorsi sul funzionamento del mercato del lavoro, degli ammortizzatori sociali e del futuro del sistema pensionistico, tutti costruiti su logiche e regole che non favoriscono i giovani, nonostante ilfiume di parole dette e scritte per spiegare e giustificare le riforme degli ultimi vent’anni. E quindi?

La buona notizia è che, per la prima volta, i giovani sembrano aver capito di avere una forte responsabilità per indicare il futuro da prendere, sull’onda della decisione dell’Unione europea di chiamare Next Generation Eu l’impegno comune per sostenere la ripresa e rafforzare la resilienza economica e sociale dei singoli Paesi. Da alcuni mesi, decine di associazioni giovanili riunite nella “Rete Giovani 2021”, stanno preparando, anche con l’aiuto di esperti meno giovani, un Piano sul futuro del Paese, il quale sarà presentato nelle prossime settimane e discusso ampiamente anche nel corso del Festival dello sviluppo sostenibile, che inizierà il 22 settembre (www.festivalsvilupposostenibile.it).

Come dire, se la montagna degli adulti non pensa ai giovani, saranno i giovani a pensare alla montagna di problemi di questo Paese. E questa è un’ottima notizia nei tempi della massima incertezza sul futuro.

Fonte: da L'Espresso del 13-09-2020

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