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Ma i sacrifici non sono stati inutili

Guardando solo un numero, quello spread tra titoli di Stato italiani e tedeschi che ormai tutti conoscono, siamo tornati ai livelli che fecero cadere il governo Berlusconi, nel novembre 2011. Inutili allora tutti i sacrifici che il governo Monti ci sta facendo fare, andare in pensione più tardi, pagare l’Imu, i prezzi cresciuti a causa della maggiore aliquota Iva, i tagli alle spese che si sentiranno via via?
No. E’ una crisi dell’Europa questa – il timore che l’euro si spacchi – nel contesto di una economia mondiale ovunque peggio messa rispetto all’anno scorso, con gli Stati Uniti che stentano a ripartire, la Cina, l’India e il Brasile che rallentano. A dircelo sono sempre i numeri, se li guardiamo bene, se ne guardiamo più di uno.
Non è tornato alla stessa vetta del novembre 2011 il tasso di interesse che il Tesoro italiano paga: resta ancora di circa un punto sotto il massimo raggiunto allora. La differenza sta nel rendimento dei titoli tedeschi, i Bund , scesi a un livello bassissimo, innaturale. I capitali internazionali affluiscono verso la Germania perché lì, nel caso si fratturi l’euro, si rivaluterebbero. Pare razionale investirceli anche se rendono meno di zero.
Nel novembre 2011 la Spagna pagava interessi più bassi dei nostri, benché gli analisti finanziari di tutto il mondo sapessero benissimo che le sue banche stavano molto peggio di quanto le fonti ufficiali volessero far credere, e sospettassero che tra le sue regioni ci fossero – come ci sono – casi di dissesto ancora più gravi di quello della nostra Sicilia.
Invece il rendimento dei titoli di Stato francesi nelle ultime settimane è sceso, benché il bilancio pubblico sia in condizioni strutturali assai peggiori delle nostre. Ieri, i decennali transalpini fruttavano un interesse del 2,24%, poco più che sufficiente a compensare la prevedibile inflazione.
Nell’insieme di queste cifre si legge che la scommessa dei mercati è su una rottura dell’unione monetaria in cui la Francia resterebbe agganciata alla Germania. Alla Spagna invece risulta estremamente difficile procurarsi nuovi finanziamenti sui mercati, benché abbia un governo politico provvisto di una solida maggioranza, che sia pure tra molti errori ha adottato misure di austerità severe.
La crisi europea è il punto critico di un pianeta dove le forze traenti della crescita economica sembrano affievolite dappertutto. Può darsi che negli Stati Uniti esistano le risorse tecnologiche per un nuovo balzo, ma non si sbloccheranno prima che finisca l’attuale paralisi politica. La Cina non può conservare il suo ritmo mirabolante di aumento del prodotto lordo se non vuole riempirsi di nuove fabbriche che non sapranno a chi vendere, mentre deve elevare il benessere dei suoi cittadini.
I capitali per ripartire ci sono, tuttavia non riescono a trovare la strada dell’investimento produttivo. Sono pieni di denaro i forzieri del governo cinese, sono piene le casse delle grandi imprese in America, in Germania, e in molti Paesi emergenti: si riversano nelle scommesse pazze della finanza, rischiando di distruggere i delicati meccanismi dell’economia reale – imprese, lavoro, commerci che hanno permesso di accumularli.
Manca la fiducia, manca la speranza. Solo la politica può riaccenderle. Senza l’euro avremmo una democrazia ancora più limitata nei suoi poteri, ancora più condizionata dai mercati. L’Italia nel novembre scorso ha evitato di cadere nel baratro da sola, ora può solo farsi parte di uno sforzo comune per non caderci tutti insieme.

Fonte: La Stampa del 25 luglio 2012

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