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Ma alla fine prevarrà il compromesso

Se i Paesi emergenti lo trovassero, un candidato sul quale unirsi, sarebbe una bella battaglia per la guida del Fondo monetario internazionale. Però non riescono a mettersi d’accordo. Serve solo ad agitare una bandiera la presa di posizione dei «Brics» (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) contro la prassi che assegna quel posto all’Europa.
Ormai al timone dell’economia globalizzata c’è il G-20, dove i Paesi emergenti sono ampiamente rappresentati. Anche lì, tuttavia, non riescono a fare fronte comune. La Cina, abbastanza potente per giocare sola, è anche troppo orgogliosa ed egoista per cercare partner. Altri Paesi grandi, come India e Brasile, hanno interessi lontani; nessuno riesce a proporsi come leader.
Nei fatti, l’egemonia americana si è indebolita. Nei fatti, l’Europa conta sempre meno; però pub sempre offrire modelli, esempi, politiche, che poggiano su una lunga esperienza. A Parigi assicurano che Pechino, mentre firmava il comunicato dei Brics, inviava segnali di disponibilità verso madame Lagarde. Farebbe bene anche al Fmi, nel mondo, una immagine menc «occidentale». Il rischio maggiore è che i Paesi in difficoltà si facciano prestare soldi direttamente dalla Cina, che ne ha tanti. Eppure, resta molto probabile che il prossimo diretto- L’INTESA POSSIBILE.Il numero due agli Usa.
Per la Cina pronta una vicepresidenza re generale sarà colei che all’anagrafe risulta come Christi-ne Lallouette (Lagarde è il cognome del primo marito), per la prima volta una donna. Può vantare di essere stata manager di uno studio legale internazionale che ha più dipendenti del Fondo; e di essere stata (dopo alcune iniziali gaffes) un buon ministro dell’Economia francese. La indebolisce non essere di formazione una economista.
Economisti oltre che politici sono tutti i suoi potenziali rivali fuori dall’Occidente. L’unico che si sia dichiarato finora, il governatore della Banca centrale ed ex ministro delle Finanze del Messico Agustin Carstens, non piace affatto agli altri Paesi emergenti. Appare un uomo della vecchia gestione del Fmi, dove è già stato vicedirettore generale; è un ultraliberista della scuola di Chicago. Facile capire che un governo di sinistra come quello del Brasile, ed altri emergenti, tra i due abbiano già segnalato di sentire meno lontana la Lagarde, centro-destra francese, legata al modello europeo della «economia sociale di mercato». Altri personaggi stimatissimi dei Paesi nuovi non sono stati nemmeno candidati in via ufficiale dai loro governi: talvolta per non bruciarli, talvolta, perfino, per rivalità interne. Il turco Kemal Dervis non piace al governo islamico moderato del suo Paese poiché è un laico. L’India, dopo che si è tirato fuori il suo Montek Singh Ahluwalia perché ha più dei 65 anni prescritti, ha cercato di lanciare l’ex ministro sudafricano Trevor Manuel, senza finora raccogliere consensi sufficienti (forse ad alcuni pare troppo di sinistra); lo stesso governo del Sudafrica «chiede tempo».
Finirà, probabilmente, con qualche compromesso. Agli Stati Uniti spetta la poltrona numero 2, quella di vicedirettore generale vicario: in cambio dell’appoggio alla Lagarde, ne avranno uno forte. La Cina otterrà, a segno dei tempi nuovi, una vicedirezione generale per il suo Zhu Min. C’è poi da aggiungere che sta per dimettersi il capo-economista Olivier Blanchard, francese che insegna a Harvard, grande innovatore di dottrine e pratiche del Fondo: sarà cruciale anche la scelta del successore.

Fonte: La Stampa del 26 maggio 2011

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