La questione che sta raffrontando in queste ore il governo è quella delle risorse con cui realizzare l’impegno che ha assunto per lo sviluppo. A dispetto delle tante dichiarazioni di chi ne ha avuto la responsabilità, la spesa pubblica in questi anni ha continuato a crescere. Ciò che in effetti è stato posto sotto controllo è il ritmo con cui anno dopo anno essa è aumentata, piuttosto che la sua dimensione. Ridurre la velocità dell’aumento non significa, ovviamente, frenarne la crescita. Oggi, nel momento in cui sta per avviarsi la fase 2 della manovra, è necessario trovare le risorse per realizzarla.
Rigore ed equilibrio dei conti pubblici non sono in discussione. Ecco perché qualunque scelta si faccia, su infrastrutture, formazione, capitale umano, carico fiscale, occorre ridurre prima le spese previste dal bilancio. Ed ecco perché si inizia con le liberalizzazioni, che di risorse non hanno bisogno nonostante abbiano un costo elevato in termini di consenso politico, come si è visto a proposito di taxi e farmacie.
Il ministro Giarda ha presentato pochi giorni fa un’ampia analisi da lui stesso condotta che, nel fare un quadro strutturale della nostra spesa pubblica, indica alla fine anche aree e modalità per la sua riduzione. Riusciremo a ridurre la spesa? Il compito è arduo, anche se averlo avviato subito fa ben sperare. Si tratta di modificare comportamenti radicati nell’amministrazione della cosa pubblica che includono, purtroppo, oltre i noti e abnormi costi della politica anche un’ampia area di illecito e di fenomeni di corruzione assai difficili da sradicare.
Limitiamoci però ai casi indicati nel rapporto del ministro Giarda, l’esempio di maggiore e immediata evidenza è quello dell’impiego di due addetti quando ne sarebbe sufficiente uno soltanto. Sappiamo bene, per osservazione diretta, che si tratta di un caso tutt’altro che isolato. Come non è un caso isolato quello dell’acquisto di beni di consumo a un prezzo superiore a quello di mercato. Il peso crescente, sul totale, della spesa delle amministrazioni locali è denunciato con chiarezza da Giarda. Facile, in materia di sanità, confrontare la spesa delle diverse Regioni e osservare forti e non spiegate differenze dei prezzi pagati per beni e servizi identici acquistati. Il caso di siringhe identiche pagate due o tre volte di più in alcune Regioni è ormai un classico. La razionalizzazione della spesa pubblica, non c’è dubbio, deve essere un punto centrale dell’azione di governo. Esige peraltro un’azione di lunga lena che va ben al di là dei 5 miliardi di euro che si pensa di risparmiare quest’anno. Occorre modificare le procedure di acquisto di beni e servizi della pubblica amministrazione, attraverso metodi aggiornati di «public procurement». Così come è necessario che le scelte d’investimento in materia di infrastrutture siano il risultato di un’attenta valutazione dei costi e dei benefici collegati ad ognuna delle opere, a cominciare dal tanto discusso ponte sullo stretto di Messina. Non basta cioè valutare le risorse finanziarie disponibili. Occorre misurare i vantaggi relativi che derivano alla collettività dalla realizzazione delle diverse opere.
Il Mezzogiorno, lo ha ricordato ancora una volta il capo dello Stato, è l’area dove non solo è più urgente investire ma anche quella su cui occorre puntare per un’azione a favore dello sviluppo. Per andare in questa direzione occorre cambiare l’approccio con cui si guarda al Sud per farlo diventare parte dell’azione a favore dello sviluppo del Paese. È il momento di usare al meglio i fondi europei, con un’azione di progettazione che abbia una strategia centralizzata anche se concordata con le Regioni. È una sfida importante. Il ministro Barca ha la competenza e la determinazione necessaria per vincerla.
Altrettanto si può dire in materia di mercato del lavoro, dove l’impegno al confronto con le parti sociali preso dal presidente del Consiglio potrebbe consentire quel confronto in stile europeo da lui stesso auspicato, con una proposta pubblicata sul web e un confronto aperto che dia spazio alle opinioni, prima che si arrivi al dibattito in Parlamento. Non c’è dubbio che la questione del contratto unico e quella delle misure di accompagno per l’occupazione, in particolare dei giovani, siano una priorità. Perché esse portino i risultati di cui abbiamo bisogno, non dobbiamo dimenticare che condizione essenziale è che si realizzi l’apertura dei mercati, incrostati da troppe resistenze corporative.
L’azione in questa direzione sarà efficace non solo se la scelta sarà quella di un’azione generalizzata conto i troppi corporativismi, ma soprattutto se sarà condotta a favore della libertà d’entrata sui mercati dei servizi, in particolare quelli innovativi, che sono la chiave di successo delle economie capaci di seguire il cambiamento tecnologico in atto nel settore dell’energia, dell’informatica, delle telecomunicazioni e dei trasporti. Da questo punto di vista sono importanti le modalità che assumerà la riforma dei poteri attribuiti all’Autorità per la concorrenza che, non va dimenticato, ha fino ad oggi poteri di controllo delle posizioni «dominanti» sul mercato ma non si occupa, in principio, di verificare le condizioni di libertà di accesso ai mercati. Sono queste ultime, soprattutto nel caso dei settori a maggiore contenuto innovativo, la vera ragione di spinta allo sviluppo. E al settore dei servizi che occorre guardare quando si parla di crescita, perché è lì che si annidano la maggior parte delle ragioni della bassa crescita della produttività del nostro Paese.
L’urgenza di tagliare le spese
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