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Lotta alla povertà, la grande lezione di Warren e Bill

Alla fine degli anni ’90 c’era una grande confusione tra ‘aiuti allo sviluppo’ e ‘lotta alla povertà’, e c’era anche un grande sconforto sulla efficacia dell’impegno sull’uno e sull’altro fronte. L’impressione era che si spendesse molto con pochi o nulli risultati. Molta burocrazia, poca efficienza, una discreta propensione alla truffa nelle organizzazioni dei paesi donatori e agli illeciti arricchimenti ai vertici dei paesi che ricevevano i fondi.
Poi qualcuno ha cominciato a ragionare in maniera diversa. Ad applicare alla gestione degli interventi di aiuto la stessa logica di efficienza applicata nella gestione delle multinazionali. A misurare i risultati, a correggere la rotta quando questi erano inadeguati rispetto alle risorse impiegate. Tutto ciò è soprattutto il risultato dell’impegno diretto di persone come Bill Gates, George Soros, Bill Clinton e altri di pari esperienza, nella gestione delle fondazioni da ciascuno di essi create.
Soros si è impegnato soprattutto nel ‘democracy building’, la sua fondazione si è dedicata alla costruzione delle istituzioni delle giovani democrazie. Gates ha concentrato la sua attenzione sulla educazione e, ancora di più, sulla lotta alle malattie che affliggono le popolazioni del terzo mondo e sono un ostacolo enorme alla loro possibilità di uscire dalla gabbia della povertà. Gli interventi sono stati collegati a una maggiore trasparenza delle istituzioni locali e già nel 2002 e nel 2003 si è potuto constatare che questo collegamento rendeva più efficaci gli interventi. Gates ha costruito per le attività della sua fondazione dei ‘misuratori di performance’ che si sono dimostrati validi.
Oggi sappiamo cosa fare per affrontare molti fattori che rendono la povertà una gabbia e aprirne i cancelli. Il problema, che è sul tavolo già da un paio d’anni, è come aumentare la scala degli interventi, dove trovare le risorse per una lotta determinata e finale. Le proposte di Gordon Brown (cartolarizzare i contributi degli stati ricchi previsti per i prossimi anni, così da avere subito una adeguata massa di manovra) e di Chirac (imporre una tassa di un dollaro su ogni biglietto aereo) almeno per il momento sono rimaste lettera morta. L’unico fronte sul quale i paesi industrializzati si stanno muovendo con una certa continuità, anche se c’è ancora da fare, è la cancellazione del debito dei paesi più poveri.
Nelle scorse settimane due fatti hanno riportato la questione all’attenzione del mondo. Il primo è la decisione di Bill Gates di ritirarsi dai ruoli operativi nella Microsoft entro il 2008 per dedicarsi maggiormente alla sua fondazione (che ha un patrimonio di 30 miliardi di dollari); il secondo fatto è la decisione di Warren Buffet di destinare alla Fondazione Bill e Melinda Gates 31 miliardi di dollari del suo patrimonio.
Le ragioni addotte da Buffet sono che non ha mai pensato di lasciare ai suoi figli tutto quello che aveva accumulato, anche se lascerà loro abbastanza da vivere molto bene, e che, dovendo scegliere come gestire i 31 miliardi che intendeva in qualche modo restituire alla società, ha individuato chi quel mestiere aveva dimostrato di farlo assai bene, e cioè la Fondazione Bill e Melinda Gates.
Le lezioni di questa vicenda sono tante. Quella più importante per la lotta alla povertà, è che ci sono ormai le competenze e le metodologie per affrontarla in maniera concreta. Approfittiamone. Non affidando a Gates tutte le risorse, anche se il suo impegno personale è una delle ragioni della svolta, ma almeno copiandolo, imparando i metodi da lui applicati.
Temo che la nostra cooperazione allo sviluppo non abbia mandato a Seattle (sede della Fondazione) neanche un borsista.

Fonte: Repubblica Affari & Finanza del 3 luglio 2006

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