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L’Onu vota: salvare la democrazia dai creditori

L’Onu vota: salvare la democrazia dai creditori

di Carlo Clericetti

Ci sono Thomas Piketty e Mariana Mazzucato, James Galbraith e Yanis Varoufakis tra i primi firmatari di un appello ai paesi europei perché domani, 10 settembre, all’Assemblea generale dell’Onu votino a favore di una risoluzione che chiede di stabilire un metodo democratico, riconosciuto legalmente a livello internazionale, per la ristrutturazione dei debiti sovrani. Oggi queste procedure non ci sono, e uno Stato che arrivi ad una situazione in cui la ristrutturazione del debito diventa la sola possibilità si trova in balia dei mercati internazionali, che impongono condizioni-capestro che non permettono al debitore di risollevarsi e colpiscono drammaticamente le condizioni di vita dei cittadini.

L’appello è stato pubblicato ieri sul Guardian, il più autorevole quotidiano progressista britannico, ed è ripreso oggi dal Manifesto. Tra i primi firmatari ci sono anche gli italiani Giovanni Dosi, direttore dell’istituto di Economia della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, e Gennaro Zezza, docente a Cassino e ricercatore presso il Levy Economics Institute negli Stati Uniti.

L’Assemblea generale dell’Onu”La crisi greca ha mostrato che in assenza di un quadro politico internazionale che permetta una gestione ragionevole dei debiti sovrani, e malgrado la loro insostenibilità, uno Stato da solo non può ottenere delle condizioni praticabili per la ristrutturazione del proprio debito. Durante le negoziazioni con la Troika, la Grecia si è imbattuta in un ostinato rifiuto in tema di ristrutturazione, in contrasto con le raccomandazioni stesse del Fmi”, scrivono gli economisti. Prima era toccato all’Argentina, che ancora oggi sta lottando contro i “Fondi avvoltoio” che hanno ottenuto da una corte americana il blocco dei beni argentini negli Usa. Un altro caso di vastissima rilevanza (che l’appello non cita per ovvie necessità di sintesi) fu quello della crisi del debito dei paesi dell’America Latina, negli anni ’80. Anche in quel caso si dovette arrivare a una ristrutturazione resa possibile solo dall’intervento della politica (il “Piano Brady”, dal nome dell’allora segretario al Tesoro Usa).

Insomma, i default sovrani accadono, come accadono nell’economia privata. Per questi ultimi in tutti gli Stati esistono delle leggi che regolano le procedure (in Usa il famoso Chapter 11″, utilizzato anche da grandi corporation come Chrysler, General Motors, United Airlines, Delta; in Italia il concordato preventivo introdotto nel 2006). Leggi introdotte perché l’esperienza aveva mostrato che è preferibile questa strada piuttosto che il fallimento, preferibile sia per l’azienda che per i creditori, che riescono ad ottenere di più. Per gli Stati il concetto è analogo: se i creditori pretendono condizioni che non permettono all’economia di risollevarsi finiranno quasi certamente per ottenere meno di quanto sarebbe possibile. Ma il problema vero non è questo: sono le conseguenze drammatiche per i cittadini di quegli Stati.

Il documento ricorda che l’Argentina, che prima della Grecia ha sperimentato la durezza irragionevole dei creditori, “esattamente un anno fa a New York, sostenuta dai 134 Paesi del G77, ha proposto in sede Onu di creare un comitato che stabilisse un quadro legale a livello internazionale per la ristrutturazione dei debiti sovrani. Il comitato, sostenuto da un gruppo di esperti dell’Unctad, vuole adesso sottoporre al voto 9 principi, che dovrebbero prevalere durante le ristrutturazioni dei debiti sovrani: sovranità, buona fede, trasparenza, imparzialità, trattamento equo, immunità sovrana, legittimità, sostenibilità, regole maggioritarie. (…) Questi 9 principi riaffermano la superiorità del potere politico, attraverso la sovranità nazionale, nella scelta delle politiche pubbliche. Essi limitano la spoliticizzazione della struttura finanziaria, la quale ha escluso finora ogni possibile alternativa all’austerity, tenendo in ostaggio gli Stati. L’ONU deve quindi farsi sostenitore di una gestione democratica del debito e della fine del mercato dei debiti”.

Finora, dicono i promotori dell’appello, i paesi europei si sono del tutto disinteressati del problema, e la gestione della crisi greca è stata una prova ulteriore del loro atteggiamento negativo. Il voto di domani potrebbe essere un importante segnale che gli europei non hanno completamente dimenticato l’importanza della democrazia. Speriamo che siano ascoltati.

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