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L’obbligo di dare certezze

In un clima di incertezza economica senza precedenti, la normale contesa elettorale viene vissuta sui mercati come un fattore di ulteriore instabilità. Francia e Olanda rispetteranno gli impegni fiscali? La Germania sarà frenata dai timori sull’affidabilità dei partner? Le tensioni sociali in Grecia, Spagna o Italia ne pregiudicheranno il risanamento? In media ogni tre mesi si svolgono le elezioni generali di almeno un paese dell’euro area. Nel 2013 in particolare voteranno i due Paesi critici, Italia e Germania. L’incertezza che ne deriva, o addirittura i dubbi sulla democrazia, sarebbero molto minori se disponessimo di una carta nautica che indicasse all’opinione pubblica e ai mercati il porto di approdo di questa travagliata navigazione europea.
Servono maggiori certezze di medio-lungo termine: la prospettiva degli eurobonds; una “roadmap” per la mutualizzazione della politica fiscale; e un metodo di decisione trasparente. Ma lo stesso impegno di lungo termine spetta alla politica nazionale e a quella italiana in particolare, che deve definire il proprio operato non per ciò che ha fatto finora, ma per ciò che intende fare nei mesi e negli anni a venire.
Non c’è dubbio che la sfida politica sia forte. L’intera Europa, non solo l’area euro, è destinata a un decennio di bassa crescita. Pesano i debiti pubblici e privati del passato, gli squilibri competitivi da riassorbire e l’andamento demografico. Quando la crescita dell’economia è vicina all’1%, la distribuzione del reddito diventa un gioco a somma zero. Chi guadagna lo fa solo a scapito di qualcuno che perde. Inevitabilmente il tema dell’equità diventa centrale.
Può prendere la strada della protesta oppure della gestione politica dei conflitti: tra chi è più o meno fortunato, tra chi ha un lavoro protetto e chi è precario, o ancora tra chi paga le tasse e chi le evade. Per rendere l’equilibrio meno difficile è necessario fare il possibile sul fronte della crescita. Per questo è tanto importante avere un orizzonte di medio-lungo termine di ritorno alla crescita al fianco delle politiche di contrasto dell’emergenza finanziaria.
Lo sforzo politico italiano deve ancora proporre un piano pluriennale che rassicuri i cittadini sul livello futuro della tassazione e sul piano di recupero della competitività del paese. I partiti dovrebbero dedicarsi a questo impegno comune prima possibile.
Ci sono alcuni alibi che vanno evitati. Il primo riguarda l’irresponsabilità delle politiche nazionali. Non è utile vedere nella crisi economica, nell’influenza dei mercati – e nella risposta da parte di organi tecnici (la Bce) o non nazionali (il Consiglio europeo) – una minaccia alla democrazia a cui ribellarsi. Una politica responsabile utilizza questi vincoli come leva per dare spessore al proprio programma. Il secondo alibi è l’allarme per le spinte estremiste antieuropee. La protesta c’è, ma è il contrario di un alibi. In Francia i nazionalisti hanno avuto un forte successo ma l’astensionismo è stato molto basso, non siamo al rifiuto della democrazia. La crisi olandese potrebbe emarginare l’estrema destra. I partiti tedeschi tradizionali – e in fondo perfino quelli italiani – stanno reagendo alle nuove formazioni populiste che raccolgono lo scontento sociale. Al di là del rumore delle campagne elettorali, secondo Eurobarometro, la stragrande maggioranza degli europei vede una soluzione alla crisi solo nella cooperazione politica con gli altri paesi. In genere la politica è sensibile a ciò che la maggioranza degli elettori desidera.
Il terzo alibi riguarda la politica europea. Dietro la facciata del Fondo monetario internazionale nei giorni scorsi si è discusso di un cantiere più ricco di quello che si creda. Il tema dell’integrazione fiscale sta arricchendosi di piani per l’armonizzazione della tassazione, mentre ritorna sul tavolo negoziale la possibilità di un aumento del bilancio europeo. Si lavora a un piano di supervisione comune dei sistemi bancari e all’armonizzazione delle assicurazioni sui depositi. Infine si lavora a diversi progetti di Eurobonds «non troppo distanti», come ammette una fonte tedesca, o di Euro-bills. Progetti tenuti nell’ombra «per non disturbare le ratifiche nazionali del fiscal compact». Da giugno questi temi dovranno tornare pubblici e alla luce del sole.
I mercati hanno dimostrato di muoversi rapidamente in negativo, ma anche in positivo. Non è una partita persa quella di convincerli che i paesi dell’euro area hanno intrapreso la strada giusta. Il livello di integrazione garantito dal fiscal compact è sottovalutato perchè la stravagante condotta del nuovo governo spagnolo – che ha smentito l’accordo dopo averlo firmato – ha disorientato tutti. Ma a ben vedere il carattere del nuovo accordo fiscale è ben disegnato. I paesi hanno scadenze da due a cinque anni per correggere i deficit non dipendenti dal ciclo e la rapidità dell’aggiustamento è differenziata da paese a paese. Infine si tiene conto della qualità delle correzioni, offrendo una sponda politica ai paesi che devono ricorrere alle riforme strutturali. C’è flessibilità nel giudizio europeo ed essa corrisponde in positivo alla sottrazione di sovranità fiscale che i paesi hanno accettato nei confronti dei loro partner.
I mercati non hanno capito che l’integrazione politica europea è più avanzata di quanto sono abituati a pensare. Il loro sguardo è sul breve termine, ma talvolta anche un aumento del debito pubblico può nascondere il ritorno alla stabilità fiscale nel medio termine. Per questo il cantiere europeo deve uscire dalla zona d’ombra in cui è tenuto dalla retorica nazionale. A quel punto anche i mercati potranno correggere la loro miopia.

Fonte: Sole 24 ore del 24 aprile 2012

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