• lunedì , 23 Dicembre 2024

Lo shopping improprio delle Poste

L’acquisto di Mediocredito va in direzione opposta a quanto accade nel resto del mondo: anziché uscire dalle bance, il governo ne compra una.
Serve un’autorità tersa rispetto al Tesoro per evitre che la nuova posizione di forza della società diventi monopolio.
Vent’anni fa iniziava in Italia il processo di privatizzazione del sistema bancario: oggi, anche se le Fondazioni hanno ancora ruoli determinanti negli assetti di controllo, il loro peso continua a diminuire e il settore bancario può considerarsi sostanzialmente privatizzato. Quindici anni fa venivano privatizzate le assicurazioni pubbliche, ma se qualcuno si ricorda della presenza dello stato nel settore, nessuno credo ne senta la mancanza.
Vent’anni fa iniziava in Europa il processo di apertura al mercato del sistema postale: dopo tre direttive comunitarie, svariati decreti di recepimento e decine di regolamenti governativi, dal primo gennaio del prossimo anno entrerà in vigore la direttiva per il pieno completamento del mercato interno dei servizi postali.
Rispetto a questi pluridecennali processi, l’acquisto del Mediocredito Centrale da parte delle Poste italiane, al 100% del Tesoro, va in direzione diametralmente opposta. Mentre in tutto il mondo i governi che nel dopo Lehman erano intervenuti nel capitale delle banche si affrettano a uscirne, il nostro governo, che non aveva dovuto farlo nel momento del panico, compera una banca attraverso le Poste, che così diventano banca a tutti gli effetti.
Mentre la Germania procede nella privatizzazione delle poste, e lì l’acquirente è una banca privata, da noi la marcia è contromano, Giulio Tremonti fa delle Poste il suo braccio operativo per il progetto che accarezza da tempo: la Banca del Sud. Che ciò sortisca effetti positivi per il Mezzogiorno è dubbio; che finisca per pesare in modo negativo sul nostro sistema economico è certo.
Banche pubbliche. A renderci diffidenti dovrebbero bastare i nostri ricordi, soprattutto al Sud. Per i più giovani, valgano almeno i risultati dello stress test condotto poche settimane fa: sulle 91 banche esaminate, le sette che non hanno passato il test, e sei delle dodici che l’hanno passato per frazioni di decimali, sono pubbliche.
Un risultato che non sorprende: usare discrezionalità nell’erogare il credito è la sola ragione per fare restare pubblica una banca. Ma se il credito viene erogato non in base al merito, i profitti si assottigliano, e per rifarsi le banche devono ricorrere a operazioni più rischiose. Si discute sulle misure da adottare per evitare il ripetersi di crisi nel settore creditizio. Quello su cui tutti sono d’accordo è che non devono più esserci banche che non possono fallire: una banca di proprietà dello stato sa che non potrà mai fallire.
Poste pubbliche. Gli uffici postali, che servono ad assicurare il cosiddetto servizio universale, costituiscono una rete di sportelli bancari più numerosa di quelle di Banca Intesa e UniCredit insieme. Già oggi, e a maggior ragione dopo l’acquisto di Mediocredito, oltre a vendere in esclusiva le cartelle di risparmio postale emesse dalla Cassa depositi e prestiti, vi si fanno operazioni bancarie, si vendono assicurazioni – vita e ora anche danni – servizi energetici, telefonici, immobiliari, turistici: un fatturato di 15 miliardi sui circa 20 complessivi.
Il sussidio incrociato distorce la concorrenza: nessuna banca si potrebbe permettere il numero di sportelli delle Poste; nessun operatore postale potrà avere le fonti di ricavo di una banca.
Liberalizzazione. Quella che Bruxelles c’impegna a fare non sarà un’operazione semplice. Compensazione degli oneri per il servizio universale, delle residue agevolazioni a editoria e partiti politici, Iva da uniformare: sarà complicato liberare il mercato dai nodi stretti in passato.
Ma quelli che più dovrebbero preoccupare sono i nodi che minacciano di soffocare il futuro, i nuovi business dei sevizi postali, dove le Poste hanno posizioni di forza acquisite grazie al monopolio. Ad esempio, i business che usano i dati personali, accumulati in sterminata quantità dalle Poste; o l’e-commerce, data la funzione che i servizi postali svolgono nel recapito dei beni compravenduti via internet.
A gestire la separazione sarebbe necessaria un’autorità terza, terza rispetto al proprietario. E invece il Tesoro, dopo l’acquisizione di Mediocredito Centrale, vedrà nelle Poste non più solo la fonte di dividendi sugli utili di monopoli mascherati, ma lo strumento per una palese politica industriale: la Banca del Sud. Non è più in senso metaforico che si parlerà delle Poste come di una piccola Iri.

Fonte: Il Sole 24 Ore del 26 settembre 2010

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