• martedì , 3 Dicembre 2024

Liti, ritardi e sprechi. Sull’agenda digitale solo pagine bianche

Finalmente il governo ha approvato, a distanza di più di 8 mesi dal primo, il secondo decreto crescita, che dovrebbe recepire i princìpi dell’agenda digitale europea. Potremmo dire, parafrasando il commento del grande musicista Gioacchino Rossini sull’opera di un giovane compositore, che c’è del buono e c’è del nuovo. Peccato che il buono non sia nuovo e il nuovo non sia buono. Carta di identità elettronica, interoperabilità delle banche dati pubbliche, fascicolo sanitario digitale, posta elettronica certificata, pagamenti informatici, comunicazione digitale tra amministrazioni e cittadini sono solo alcuni esempi che richiamano il buono che non è nuovo.
Per contro il decreto, anche se corposo, lascia sullo sfondo i problemi veri: la governance dell’economia digitale, il coordinamento dell’innovazione, la capacità di presidio normativo, tecnologico ed organizzativo della pubblica amministrazione, lo sviluppo delle reti e dei servizi digitali. In fase di messa a punto del decreto i ministri Profumo e Passera sono riusciti a litigare su tutto, specialmente su questioni irrilevanti: davvero pensano che a qualcuno importi qualcosa dello Statuto della cittadinanza intelligente? Il quadro istituzionale è fuori controllo; i vecchi enti responsabili del coordinamento dell’innovazione sono stati soppressi; Iscom, Consip, Sogei e l’ex-DigitPA litigano ogni giorno sulle rispettive competenze; la nuova Agenzia per l’Italia digitale è senza direttore da mesi (doveva essere nominato in trenta giorni, il decreto è stato approvato in Consiglio dei ministri il 15 giugno, sono trascorsi quasi quattro mesi con un nulla di fatto), le amministrazioni pubbliche non sanno a chi chiedere e su cosa investire per garantire servizi on-line. Ma il decreto crescita 2.0 si guarda bene dal dire qualche cosa al riguardo, con il risultato che nessuno sa in mano di chi sia il “boccino digitale”.
Sono ormai troppi mesi che il governo è in difficoltà in materia di innovazione, mentre il sapore amaro del “te lo avevo detto!” comincia a lasciare spazio al timore che l’inerzia finisca per avere un prezzo troppo alto per il nostro Paese. In tanti hanno cercato di richiamare la attenzione del presidente del Consiglio sull’importanza del digitale per la competitività della nostra economia, di apprezzare la creazione di una cabina di regia per l’agenda digitale, di essere pronti ad investire risorse in un quadro di regole certe auspicando però che, dopo tante parole, arrivi qualche fatto concreto. Invece, dopo il lungo silenzio e gli ultimi inutili suoni di fanfare, il sonno digitale di questi mesi inizia a essere agitato da qualche incubo.
Guardiamo allora alle cose concrete. La fattura elettronica per la pubblica amministrazione. È prevista dalla Legge Finanziaria del 2008 come obbligatoria (le amministrazioni non possono saldare fatture non ricevute in formato elettronico) e tutti concordano nel dire che, se la amministrazione riesce a farla decollare, sarà di forte spinta anche per le fatture elettroniche tra imprese. Secondo una stima dell’Abi la piena diffusione della fattura elettronica dovrebbe comportare minori costi per il Paese non inferiori a 10 miliardi di euro l’anno. Solo la Pa risparmierebbe circa 3 miliardi. Per rendere operativa la fattura elettronica sono tuttavia necessarie le regole tecniche. Regole pronte e contenute in un decreto che aveva già subito la lunga procedura di costruzione e che, a quasi dodici mesi dal parere del Consiglio di Stato (ultima tappa della burocrazia ministeriale), è ancora fermo al palo. Un danno per tutti e uno spreco per le amministrazioni.
I pagamenti elettronici. Se ne parla da tanti anni e l’Europa ci ricorda in continuazione che, a partire dal 2014, anche in Italia dovrà essere perfettamente operativa la cosiddetta area unica dei pagamenti in euro (Sepa). Significa che i cittadini, le imprese, le amministrazioni europee dovranno parlare un linguaggio unico in materia di versamenti e incassi, che si dovrà poter usare ogni mezzo di pagamento, in ogni città dell’euro, verso e da ogni soggetto pubblico e privato. Rendere disponibili mezzi di pagamento elettronici per le pubbliche amministrazioni significa allora non solo risparmiare soldi (la gestione della carta costa sempre di più) ma anche rendere più moderno il nostro Paese, favorire il commercio elettronico, facilitare l’uso della tecnologia a persone poco abituate a farlo. Servono però anche qui regole e infrastrutture, tempo e risorse dedicate, buona volontà e un pizzico di coraggio per rompere interessi consolidati. E anche qui il grosso del lavoro era stato fatto, il decreto con le regole tecniche era stato preparato. Bastava discuterne, migliorarlo, adottarlo e farlo partire. Nulla di tutto questo, solo un imbarazzato silenzio.
La partecipazione democratica alle decisioni politiche grazie a internet e al digitale. Tralasciamo le tante dichiarazioni di principio del nuovo decreto crescita e limitiamoci a un esempio. Sorprende infatti che il governo Monti, a parole, così attento alla tecnologia come strumento essenziale per la democrazia partecipata e all’Europa come luogo simbolo dello sviluppo prossimo venturo rischi con tanta leggerezza una procedura di infrazione da parte della Commissione Europea per la mancata attuazione del regolamento 211 del 2011 del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante l’iniziativa dei cittadini europei. Il regolamento si applica dal primo aprile 2012 e prevede la possibilità di raccogliere anche on-line l’adesione a una iniziativa di proposta alle istituzioni europee da parte dei cittadini europei. Per dare attuazione al regolamento è necessario un Dpr e, a seguire, la definizione da parte dell’agenzia per l’Italia digitale delle procedure per richiedere la certificazione dei sistemi di raccolta on-line delle adesioni. Del decreto solo qualche flebile traccia (si dice sia stato approvato “in via definitiva” dal Consiglio dei ministri dello scorso 4 ottobre ma non si capisce dove sia), delle regole tecniche nemmeno, dei tempi per rispettare gli impegni presi neanche a dirlo. Finirà con l’ennesima procedura di infrazione, con i diritti calpestati, con spese inutili. Peccato, anche perché in fondo non era così difficile, basterebbe seguire le cose con un minimo di buona volontà.
La ricetta farmaceutica digitale. E qui sfioriamo il ridicolo. Secondo la bozza di decreto sarà accelerata la sostituzione con il formato elettronico delle prescrizioni mediche di farmaceutica e specialistica a carico del servizio sanitario nazionale. Di nuovo: se occorre sostituire il digitale con la carta non basta dire che è “cosa buona e giusta” ma anche spiegare come, con quali modalità tecniche, con quali soluzioni informatiche. In altre parole occorre anche dire quali sono le regole del gioco. E qui il governo per una volta è preciso: le modalità sono pronte da un anno ma perché semplicemente non applicarle e raccogliere dopo che qualcun altro aveva seminato? Perché si è perso tutto questo tempo?
Potremmo continuare a lungo su quel che è stato fermato: firma elettronica avanzata, firma digitale con telefonino, conservazione digitale dei documenti, pagella elettronica e comunicazione digitale tra scuola e famiglia, scambio di dati tra sistemi informativi pubblici, dematerializzazione dei certificati, censimento digitale, banche dati dei contratti, registro delle strade, anagrafe degli studenti, razionalizzazione dei data center pubblici, disaster recovery dei dati della pubblica amministrazione … E mi fermo per pudore. Il punto vero è che le cose non si creano da sole ma vanno costruite e migliorate passo a passo e che non basta una nuova legge, se dietro non c’è un costante lavoro di spinta, di presidio, di regolazione continua. E tutto questo è esattamente quello che in questo anno è del tutto mancato.
In questa situazione il settore industriale delle telecomunicazioni e dell’informatica guarda, incerto se dichiararsi soddisfatto (la confusione è il miglior concime di prezzi alti per servizi scadenti) o preoccupato (si accorgono che stiamo andando a sbattere tutti insieme). Viene allora naturale chiedersi se questo torpore digitale non sia solo segno di scarsa volontà e di ridotta capacità del governo e dei suoi ministri o non sia invece funzionale a garantire rendite e a preparare le premesse per nuove posizioni di potere.

Fonte: Il Giornale del 15 ottobre 2012

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