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L’italiano rigoroso che ha convinto i tedeschi

L’erede preferito da Trichet è molto apprezzato dagli economisti internazionali.
Draghi un buon tedesco? Di qualità davvero teutoniche pare averne poche; non solo perché nel suo italiano si riconosce l’accento della buona borghesia romana, e il suo inglese fluente e preciso risulta comprensibile in ogni parte del pianeta. La sua abilità è di essersi saputo costruire come il candidato migliore per tutti: beniamino della grande stampa internazionale e degli economisti di ogni lingua, erede preferito dal presidente in carica della Banca centrale europea, il francese JeanClaude Trichet, infine dalla Bild Zeitung presentato con elmetto prussiano al proprio pubblico xenofobo. Ci è riuscito riempiendo la virtù italica dell’astuzia con doti di competenza e di serietà nel lavoro apprese soprattutto nel mondo anglosassone.
Draghi è un uomo capace di posizionarsi sempre nel mezzo della corrente, nel mainstream come si dice in inglese, schivando polemiche e contrapposizioni. Gli è estraneo il rigorismo dottrinario alla tedesca che ha per l’appunto fatto cadere il suo principale contendente per la Bce, l’ex capo della Bundesbank Axel Weber. E’ un pragmatismo anglosassone a suggerirgli che, talvolta, l’applicazione rigida dei principi produce conseguenze opposte a quelle desiderate (come peraltro insegnava un altro tedesco di cognome Weber, Max di nome).
Affine ai tedeschi è casomai un’altra caratteristica personale di Draghi, la barriera che sa erigere tra il lavoro e il tempo libero. In orario d’ufficio, si lavora sodo; fuori, si cerca di non pensarci. Il suo sport preferito è il golf, pazienza e tempi lunghi; non certo l’alpinismo, come scrivevano un tempo i giornali italiani. Forse è per questo che riesce a non perdere mai la calma (mai, almeno, che si sia saputo). Gran conciliatore, evita se possibile i faccia a faccia ostili. Da buon tecnico, sa che dominare i dettagli delle questioni dà sempre un vantaggio, specie quando si deve mediare.
Cruciale nel promuovere la sua candidatura è stata l’intervista del 15 febbraio alla Frankfurter Allgemeine , dove consigliava all’Europa di «seguire l’esempio tedesco». Nessuno in Germania ha potuto replicare che si trattava di chiacchiere, perché Draghi aveva prove solide da esibire. Lui stesso all’interno del consiglio direttivo della Bce ha sempre sostenuto una linea di rigore monetario, benché senza eccessi («falchetto» più che «falco» nelle parole di un esperto).
La Banca d’Italia, che guida dal dicembre 2005, aveva saputo tenere gli occhi aperti negli anni precedenti alla crisi, evitando che le banche italiane partecipassero troppo ai giochi spericolati della «innovazione finanziaria».
Grazie alle credenziali della Banca d’Italia Draghi ha potuto dare una guida credibile al Financial Stability Board, l’organismo internazionale incaricato di riscrivere le regole della finanza. A sua volta, l’impegno concreto come presidente del Fsb ha cancellato l’handicap (termine da golfisti) di aver lavorato per tre anni proprio alla Goldman Sachs, grande potenza dell’azzardo finanziario; e lo ha fatto apprezzare fuori dell’Europa, dai governi del G-20 a cui ha più volte fatto rapporto. Anche a Brasilia, a Delhi e a Pechino lo conoscono bene.
Giova che la Banca d’Italia sia conosciuta come una delle poche istituzioni nazionali capaci di reggere il confronto. Tuttavia, l’essere italiano ha pesato, data la pessima immagine che il nostro Paese ha all’estero di questi tempi.
Rispetto agli altri possibili candidati, una volta uscito dalla gara Axel Weber, Draghi torreggiava per doti e prestigio; sono occorsi tre mesi al governo tedesco per convincersi a sceglierlo. La Francia, che ora si prende il merito di aver sbloccato la scelta, fino all’ultimo avrebbe preferito patteggiare con Berlino un nordico.
Alla fine ha vinto il migliore. Nelle attuali difficoltà dell’euro la Bce rischia molto, ma le tocca di fatto un ruolo di leadership; unica vera istituzione federale europea, è un motore di unità talvolta più efficace delle burocrazie di Bruxelles.
Lo aspettano compiti da far tremare: uscire dalla crisi greca come vuole la Banca centrale europea, senza un default , comporta convincere il governo di Atene a vendere una gran parte delle proprietà pubbliche; ed evitare nel frattempo che altri governi neghino gli aiuti.
Speriamo ora che l’Italia non sciupi il successo sprofondandosi in manovre piccine quando si tratterà di designare il successore alla guida della nostra Banca centrale.

Fonte: La Stampa del 12 maggio 2011

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