Anche nella grande depressione mondiale degli anni Trenta l’ Italia entrò con una economia che da qualche anno batteva la fiacca. La colpa era, come oggi, di un cambio sopravvalutato e di un gigantesco debito pubblico, accumulato durante la guerra e in buona parte dovuto a creditori stranieri. Come oggi, il cambio sopravvalutato fu frutto di una decisione politica, di rientrare nel sistema monetario internazionale a cambi fissi del “primo mondo” dopo il periodo di inflazione e di svalutazioni della guerra e dell’ immediato dopoguerra. Come era accaduto prima della guerra, e come sarebbe accaduto anche dopo la crisi di Bretton Woods degli anni Settanta, l’ Italia riuscì a restare in tale sistema solo fin quando le giunsero dall’ estero capitali che le permisero di chiudere i conti ignorando la perdita progressiva di competitività. Ma perchè nel 1926 Mussolini decise di stabilizzare la moneta a un cambio fortemente sopravvalutato? Fatta la marcia su Roma nell’ ottobre del 1922 e ricevuto il potere dal Re d’ Italia, Mussolini aveva trovato il cambio più o meno a novanta lire per sterlina (che era allora la valuta di riferimento). Nei primi anni del suo regime, la lira era però scesa fino a 130, con notevole vantaggio per le esportazioni italiane, ma con effetto propulsivo sulla inflazione e sacrificio dei percettori di redditi fissi e dei possessori italiani di titoli del debito pubblico, che erano in buona parte borghesi anche non troppo benestanti. Il debito estero era in sterline o dollari e anche lì un cambio alto aiutava. Mussolini era un grande uomo di comunicazione. Quando comprese che le principali monete europee, in particolare il franco francese, erano sul punto di essere stabilizzate, perché nel 1924 il marco tedesco, sottratto a una inflazione galoppante, era stato ancorato all’ oro e nel 1925 la sterlina lo aveva seguito sulla stessa strada, invece di dire che anche l’ Italia era costretta a prendere la stessa decisione, trasformò la stabilizzazione in una grande battaglia rivoluzionaria, per la riconquista della parità del 1922, e la chiamò “Quota Novanta”, come si chiamavano le quote delle vette alpine che i poveri soldati italiani erano stati costretti a conquistare o riconquistare, con immani perdite, nel corso della guerra mondiale. Conquistata quota novanta l’ Italia entrò in recessione mentre il resto del mondo restava ancora a festeggiare qualche anno di boom postbellico. La lira forte volle dire per l’ industria italiana esportatrice un rialzo dei costi assai notevole. Il Duce decise di far fronte ad esso chiedendo ai lavoratori italiani il taglio dei propri salari e stipendi, e ai datori di lavoro di diminuire i prezzi. Solo la prima richiesta fu veramente obbligatoria, ma anche così le esportazioni italiane entrarono in sofferenza e l’ intera economia perdette velocità. Dopo il crollo di Wall Street nell’ ottobre del 1929 si fermò anche l’ economia mondiale e per l’ Italia cominciò davvero a piovere sul bagnato. Non è detto che Mussolini non sapesse quel che faceva. Se non capiva con chiarezza i passaggi economici, capiva benissimo il significato politico. Assai più chiaramente di lui vedeva il suo consigliere economico, il professor Alberto Beneduce. Questi aveva elaborato una visione del problema economico italiano al centro della quale c’ era la necessità di ricostruire il rapporto tra finanza e industria su basi completamente diverse da quelle che si erano venute a determinare in Italia. Le banche proprietarie delle imprese e a loro volta proprietarie di se stesse non dovevano per lui stare più al centro del sistema industriale e dunque anche di quello politico del paese. Beneduce, inoltre, riteneva che il futuro dell’ economia italiana non stesse nelle esportazioni ma nello sviluppo della domanda interna. Bisognava mobilitare il risparmio prendendolo alla sorgente, dai risparmiatori, ai quali bisognava offrire obbligazioni a rendimento sicuro e garantito dallo stato. E bisognava utilizzarlo per finanziare la costruzione delle reti infrastrutturali moderne, come le ferrovie le strade e specialmente la generazione e distribuzione di elettricità. L’ elettricità era allora l’ equivalente della informatica dei nostri tempi, l’ industria moderna per eccellenza. Negli anni venti, su progetti di generazione e distribuzione di elettricità si potevano ottenere grandi capitali stranieri, specie americani, per supplire al risparmio italiano. Beneduce era tra coloro che avevano ben chiaro il passaggio di potere al centro del sistema capitalistico mondiale che si era appena verificato, tra Gran Bretagna e Stati Uniti. I capitali americani erano quelli che voleva attrarre in Italia. E una stabilizzazione a livello elevato sapeva che sarebbe piaciuta ai capitalisti americani che avessero investito in Italia, permettendo loro di riportare in patria i profitti a cambio favorevole col dollaro. Quindi la sopravvalutazione della lira serviva a Mussolini per sostenere di aver mantenuto le promesse fatte al popolo italiano e a Beneduce per iniziare il cambiamento radicale del modello di sviluppo e di finanziamento della economia italiana. Il crollo della economia americana nell’ autunno del 1929 scompaginò questi programmi. I capitali americani erano al centro della manovra di riforma strutturale alla quale si era accinto Beneduce con l’ accordo politico di Mussolini. I programmi dovettero quindi essere adattati alla nuova situazione, facendo uso di risorse unicamente nazionali. In aggiunta, si dovette fronteggiare il crollo del sistema bancario settentrionale, cioè della parte più sviluppata del paese, che si portò dietro anche gran parte della grande industria della stessa area. In questa situazione, si rimprovera a Mussolini e a Beneduce di essere rimasti caparbiamente aggrappati alla riconquistata quota novanta anche dopo che la sterlina abbandonò il sistema aureo nel settembre del 1931, in mezzo ad una autentica esplosione del sistema finanziario europeo e internazionale. Si dice che in tal modo l’ economia italiana fu sottoposta a sofferenze che si sarebbero potute evitare se la lira fosse stata disancorata dall’ oro nel 1931 e non solo nel 1936. In realtà, la lira seguì il fato del franco francese, come faceva più o meno dal 1860, e come aveva fatto nel 1926. E il nuovo modello di sviluppo nel quale credeva Beneduce fu reso più estremo dal crollo della finanza e della economia mondiali. Si dovette inventare un meccanismo istituzionale per evitare che il fallimento delle banche miste settentrionali portasse a fondo anche la Banca d’ Italia. Tale meccanismo fu l’ Iri, che assorbì sia le industrie di proprietà delle banche che le banche stesse, separate però per sempre dalle industrie delle quali erano state proprietarie e ridotte a fare solo il credito a breve termine. Riforme dello stesso tipo furono adottate, d’ altro canto, anche nella gran parte dei paesi europei e negli Stati Uniti. E furono riforme, in Italia e altrove, che durarono fino agli anni Settanta. Misero in piedi quella che fu chiamata “economia mista”. Nei quarant’ anni che essa durò, non si verificarono più crisi finanziarie internazionali di rilievo.
Fonte: Affari e Finanza 31 maggio 2010L’Italia e il grande spettro del ritorno agli anni trenta
Maggio 31st, 2010
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L'autore: Marcello De Cecco - socio alla memoria
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