La calata dei grandi banchieri e imprenditori di Davos, a Roma per celebrare e sostenere lo spirito riformatore di Monti. E il premier di rimando ai partiti: chi dice che scelte radicali fanno perdere consensi?
Gli uomini di Davos sono scesi dalla montagna incantata e sono arrivati a Roma con lo scopo esplicito di lanciare da qui un ciclo di riflessioni sulla competitività europea. Vasto programma, ma intanto meritorio perché il Vecchio continente nel suo insieme è rimasto il vagone di coda nel lungo treno della globalizzazione. Ancor più interessante è che per il battesimo abbiano scelto proprio lItalia. Lo ha spiegato nel suo discorso dapertura Klaus Schwab, il fondatore e presidente esecutivo del World Economic Forum: Ci sono oggi due personalità al centro della scena europea, una è Angela Merkel, laltra è Mario Monti. La cancelliera è lalfiera della disciplina fiscale, il presidente del Consiglio italiano è il portabandiera delle riforme. Ebbene, oggi abbiamo bisogno di entrambi. Più chiaro di così. Monti, invitato a prendere la parola subito dopo, non ha deluso questa piccola ma influente internazionale degli affari e della politica giunta in forze per sostenerlo e spezzare le sue lance (che non sono poche perché cè gente che muove centinaia di miliardi) a favore del percorso di rinnovamento della società italiana.
Un cammino aspro e doloroso, ha ammesso lo stesso Monti: Abbiamo fatto cose molto sgradevoli e spiacevoli, sia per chi le ha subite sia per chi le ha fatte. Eppure anche se la percezione popolare di questo maledetto governo non è rosea, il livello di gradimento è molto più elevato di quello dei partiti. Un messaggio per chi verrà dopo di lui: Non crediate che non potete fare le politiche giuste perché altrimenti perdereste consensi. E una sferzata durissima e clamorosa a un collega bocconiano, opinionista di punta sul fronte del centrosinistra come Tito Boeri, chiamato per nome e tirato per le orecchie: Non ha capito niente del processo delle riforme in Italia. Non solo non ama le singole parti delle riforme che stiamo affrontando, ma abbiamo notato che non ha capito come il messaggio principale dopo un anno di governo non è quello di dire quanto siamo stati bravi ma che abbiamo fatto cose spiacevoli non solo per chi ha dovuto subirle ma anche per chi ha dovuto attuarle.
La platea di grisaglie e gessati blu è rimasta di stucco. Boeri, arrivato in ritardo, non ha sentito, glielo hanno solo riferito. Le solite baruffe italiane? Non esattamente. Monti, anche se è apparso seriamente piccato, ha preso Boeri come esempio di tutte le resistenze e le incomprensioni, anche intellettuali, che a suo avviso ostacolano il cammino delle riforme. E questo è il tema al quale si dedicano gli uomini di Davos. Tra i cambiamenti introdotti, il presidente del Consiglio italiano ha vantato limportanza di districare la matassa dei conflitti di interessi che soffoca i piani alti della finanza italiana. Quando lho spiegato alla signora Merkel ha raccontato non ci voleva credere. Poi ha detto: Forse anchio dovrei proporre qualcosa del genere. Sarà difficile perché, con tutti i suoi successi, la Germania non è un esempio di liberalizzazione nel mercato dei capitali. Un obiettivo che invece il World Economic Forum ha messo al centro della sua iniziativa.
Il parterre non poteva essere dei migliori. Figure di punta sulla scena italiana a cominciare dai ministri Corrado Passera, Elsa Fornero, Paola Severino, Enzo Moavero, Giulio Terzi, il governatore della Banca dItalia Ignazio Visco, uomini daffari come Andrea Illy, Davide Serra, Luisa Todini, Giuseppe Recchi, presidente dellEni, Mario Moretti, amministratore delegato delle Ferrovie, Gianfelice Rocca, Stefano Micossi e molti altri. Ma alto anche il livello degli ospiti internazionali: economisti, da Michael Jacobides della London Business School a Daniel Gros, direttore dellinfluente Centro per gli studi europei di Bruxelles; finanzieri e banchieri (tra gli altri Sasja Beslik, capo della svedese Nordea), top manager dellindustria. Un lungo elenco per capire fino in fondo che non si è trattato di un convegno come tanti, né una tappa della compagnia di teste duovo globali. Lagenda economico-politica è apparsa chiara a tutti.
Linterrogativo, nelle conversazioni davanti al buffet e sulla terrazza di Villa Madama con la pigra Roma sdraiata ai suoi piedi lungo le curve del Tevere, era uno solo: cosa accadrà fra pochi mesi. Chi dopo Monti? Ancora Monti? Andrà al Quirinale? Si terrà in caldo per sostituire Barroso alla Commissione europea? Al di là dei destini personali, che ne sarà di questo cammino di riforme appena cominciato? E quel che si chiede chiunque abbia a cuore le sorti dellItalia e dellEuropa, ma anche dei portafogli che gestice, degli investimenti che può dirigere verso questo o quel paese. Passera, illustrando quel che è stato fatto ed è in cantiere, ha cercato di assicurare che sarà dfficile per chiunque tornare indietro. Ma tutti hanno capito che per ora si tratta di speranze, wishful thinking, come dicono gli uomini (e le donne) di Davos.
L’Internazionale montiana
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