• domenica , 29 Dicembre 2024

L’integrazione fallita tra ospedale e territorio

Incontro medici ospedalieri sempre più depressi, demotivati, arrabbiati con le direzioni generali, accusate di usare solo le forbici. Il guaio è che tutti hanno ragione e tutti hanno torto. I costi aumentano e i fondi diminuiscono ed è probabile siano destinati quest’ anno a scendere ancora di 5-6 miliardi. Chi ha occasione di transitare nei grandi pronto soccorsi e nei reparti di medicina d’ urgenza si può rendere conto di cosa questo significhi. In continuazione arrivano le ambulanze e i malati in barella vengono trasportati nella corsia di prima accoglienza. Non sempre trovano un letto libero o una poltrona . Così restano in barella, magari per parecchie ore, e l’ autoambulanza, priva dell’ indispensabile supporto, è condannata all’ immobilità e i tempi di chiamata si allungano. Quando il malato o l’ incidentato trovano un letto o, quando occorra, un posto in terapia d’ urgenza, egli dovrebbe trattenervisi per il tempo indispensabile ad essere stabilizzato. A quel punto, però, in genere necessita di un ulteriore periodo di cure ospedaliere in un reparto di medicina generale o specialistica. Qui, però, scatta un’ altra tagliola: nei repartii letti sono stati tagliati. Qualcuno viene arrangiato in un corridoio, mentre nella maggior parte dei casi viene prolungato il soggiorno improprio del ricoverato al pronto soccorso. Frattanto l’ ondata dei nuovi afflussi, 24 ore su 24, si gonfia, protesta, si dispera e attende. La condizione del personale sanitario, medici e infermieri, non è migliore. Bloccate le assunzioni, congelati gli stipendi, sotto la minaccia di nuove restrizioni costoro lavorano sovente allo stremo, costretti a straordinari sottopagati, nella vana attesa che gli organici stabiliti vengano rispettati. Eppure una parte notevole di chi si rivolge al pronto soccorso in realtà non necessita dell’ intervento ospedaliero urgente ma di diagnosi e cure che potrebbero essere offerte da strutture di supporto. Il Rapporto Sanità 2011 (ed. Il Mulino) è non a caso quasi interamente dedicato quest’ anno all’ integrazione tra ospedale e territorio: “Un incontro mancato” intitola il suo lucido e impietoso saggio Cesare Catananti, direttore generale del Gemelli, che ricorda come da trent’ anni se ne discuta senza che si sia fatto neppure un passo avanti, malgrado i presupposti siano semplici: esiste da una parte un costante aumento di popolazione affetta da patologie cronico-degenerative che non ha assolutamente bisogno, se non in fase di riacutizzazione, dell’ intensità propria delle cure ospedaliere e, dall’ altra parte, fortissima è l’ esigenza di riservare all’ ospedale solo i casi acuti di propria pertinenza. Questi presupposti sono stati da anni recepiti nei piani sanitari nazionali e regionali, prevedendo la progressiva riduzione dei posti letto ospedalieri ed un forte presidio dello spazio territoriale. Il che vuol dire assistenza domiciliare, residenze socio-sanitarie, centri di riabilitazione, hospice. Tutto lineare e semplice ma purtroppo solo sul piano teorico. Nei fatti la riduzione dei posti e l’ attivazione dei servizi territoriali è avvenuta con grande lentezza e a macchia di leopardo, con un forte gap tra Nord e Centro-Sud (dei 164.000 ricoveri impropri all’ anno, certificati dal ministero, il 92% sonoa carico del Mezzogiorno, principalmente della Campania). In sintesi si potrebbe dire che l’ incontro tra ospedalee territorio non ha dato i frutti sperati perché non è partito da scelte condivise. Catananti conclude il suo saggio affermando l’ impossibilità, comprovata dall’ esperienza, di insistere in una integrazione tra ospedale e territorio affidata alle Asl e di sperimentare invece una organizzazione basata su un insieme di micro-reti territoriali, ciascuna delle quali è costituita dall’ ospedale-azienda a cui afferiscono, direttamente o in convenzione, le funzioni proprie del post-acuzie, dell’ ospedalizzazione domiciliare, delle Rsa e dell’ hospice. Perché l’ intelligenza politica di qualche Regione non prova a sperimentare questa strada?

Fonte: Repubblica del 4 luglio 2011

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