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L’Inghilterra dice no al nuovo Patto europeo

Non pare convinto Didier Reynders, presidente di turno dell’Ue. Gli chiedono del nuovo patto di Stabilità con cui l’Europa vuole rafforzare la governance economica e lui risponde guardando più avanti che indietro, concentrandosi sull’ipotesi di riforma dei Trattati invocata dai tedeschi prima che sulle sanzioni semiautomatiche e del debito eccessivo. «Quando si passa a parlare di riforme costituzionali è normale che la discussione abbia luogo in seno al Consiglio europeo. Se vogliamo andare più lontano dell’accordo di Lussemburgo serve un confronto tra capi di Stato e di governo».
Dopo la lunga giornata ministeriale del Granducato, e la sua fumata bianca, il risveglio è agitato dal rischio «vaso di Pandora». L’accordo di lunedì sul documento «tecnico-politico», per dirla con Giulio Tremonti, stringe la governance comunitaria, aumenta la pressione sul debito pubblico (e privato) e rende più dure le sanzioni. Lo fa in un modo parecchio flessibile, così alla fine tutti possono dire di aver vinto. Solo i rigoristi tedeschi potrebbero avere da ridire, se la Francia non avesse promesso di sostenere la loro voglia di riaprire i trattati per istituzionalizzare le europunizioni e realtivi criteri entro il 2013.
Ma gli inglesi hanno già detto «no». La linea ufficiale è che non accetterebbero modifiche che portassero maggiori poteri a Bruxelles e ne togliessero a Londra. In realtà, il premier Cameron sa che ripensare i patti costituzionali condurrebbe a un referendum difficile. Meglio evitarlo. Lunedì il presidente dell’Eurogruppo, Jean Claude Juncker, ha dimostrato di aver ben presente la questione, sottolineando che «non è esclusa, ma neanche all’ordine del giorno». E’ la linea di Reynders, solidale col lussemburghese anche se quest’ultimo non manca mai una sola piccola occasione per ironizzare sui belgi e il loro governo che non c’è. Anche fonti della Commissione, spiaciute per la rinuncia agli automatismi sanzionatori, esprimono perplessità sulla riapertura di Lisbona.
Francesi e tedeschi non ne parlano. Nel ripensare il «loro» sodalizio, enfatizzano i passi avanti e tacciono sul resto. «E’ stato un grande giorno per cultura della stabilità in Europa», ha dichiarato il viceministro dell’Economia di Berlino Steffen Kampete: «Le sanzioni arriveranno più in fretta». E’ stato introdotto il principio della «sorveglianza macroeconomica», ha aggiunto la francese Christine Lagarde. «E’ la più grande riforma dai tempi dell’euro», ha sintetizzato il presidente stabile dell’Ue, Herman Van Rompuy. Protesta solo la Bce, col capo economista Stark che definisce l’intesa «molto al di sotto delle proposte della commissione».
Adesso succede che la cornice del «Pactum Novum» fra una settimana potrebbe essere sul tavolo dei leader Ue. Una fonte europea suggerisce di mantenere l’ipotesi al condizionale, perché la stessa Germania potrebbe decidere di tenere basso il tono del dibattito. Ci si attende una benedizione politica complessiva nel nome di una flessibilità che rafforzi il canone esistente, massimo 3% del pil e 60% del debito, con sanzioni non più automatiche. Il governo italiano ha ragionevoli speranze per sperare di non avere problemi con Bruxelles. Con l’aria che tira, nessuno ha più convenienza ad alzare polvere. L’ipotesi che la fine della crisi sia dietro l’angolo comincia a rendere tutti meno bellicosi.

Fonte: La Stampa del 20 ottobre 2010

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