di Fabrizio Onida
Viviamo sempre più in tempi di guerra dentro i confini dell’Europa e del Medio Oriente e il pubblico continua a chiedersi se le sanzioni da tempo imposte alla Russia dall’Occidente siano un’arma spuntata per fermare la guerra e favorire la pace.
La prima risposta può essere: nessuna efficacia nel breve termine per fermare la guerra, ma in un orizzonte più lungo le sanzioni come “arma economica nella guerra moderna” (copyright dello storico americano Nicholas Mulder, 2022) generano effetti non trascurabili nella dinamica geopolitica rilevante. Ragioniamo per sommi capi. Per ora sappiamo che dallo scoppio della guerra russo-ukraina le importazioni europee di oil-gas dalla Russia sono calate di due terzi, presto rimpiazzate da LNG e petrolio provenienti da Usa, Azerbaijan, Armenia, Algeria, Libia, Iraq e altri paesi.
La fonte “Global sanctions database”, che copre 1045 casi nell’arco storico che va dal 1950 al 2019, segnala che il numero delle sanzioni ha registrato nel mondo un aumento esponenziale a partire dalla metà degli anni’70. Ma è mutata significativamente la tipologia: mentre il peso delle sanzioni tipicamente commerciali (in primis la quantità di import di petrolio e gas russi importati dall’Occidente) è sceso dal 75% negli anni ’50 a meno del 20% negli anni recenti, è salito quello delle cosiddette sanzioni “smart” che colpiscono i movimenti di capitale, i servizi (es. ingegneria, consulenze) e le restrizioni ai movimenti delle persone (visti di ingresso). Morde in particolare l’esclusione delle banche russe dal sistema SWIFT che interconnette più di 1100 banche in 200 paesi e non trova facili alternative per consentire la comune gestione del risparmio delle agenzie governative, delle imprese e delle famiglie. La nomenclatura è costretta alla fuga dei capitali (con rischi penali) ma trova ostacoli nel loro impiego in patria e nel mondo.
Va intanto ricordato che quasi metà dei paesi terzi non partecipa alle sanzioni imposte alla Russia da Usa ed Europa dopo le rivendicazioni territoriali su Crimea e Donbass, il che incide notevolmente sull’efficacia pratica delle sanzioni medesime. In ogni caso, l’impatto sull’industria bellica della Russia richiederà diversi mesi per essere valutato, soprattutto per quanto riguarda le minori esportazioni europee (in minor misura americane) di attrezzature produttive, parti e componenti. Questi tagli alle forniture occidentali di parti di ricambio, parti e componenti hanno colpito sensibilmente dal 2021 la produzione automobilistica della Russia in un settore che dà lavoro ad almeno 3,5 milioni di persone. Nel 2022 lo stop alla fornitura di componenti Renault ha messo in crisi la produzione di Autovaz, la più grande fabbrica russa di autoveicoli. Per ora tuttavia, l’economia della Russia si è dimostrata assai più resiliente rispetto alle prime previsioni (Economist del 22.2 2024).
Per indebolire la Russia colpendo i suoi ricavi da esportazione di petrolio si è anche proposto di impedire il trasporto di greggio da parte delle compagnie petrolifere internazionali.
Ma è un’arma spuntata, sia per il rifiuto dei trasportatori indipendenti di ottemperare alla richiesta di boicottaggio anti-russo, sia per il proliferare di compagnie-ombra di nazionalità opaca verso cui gli intermediari commerciali spostano il traffico. Diversi magnati greci del settore petrolifero sono disposti a esportare petrolio e altre materie prime a clienti non facilmente identificabili (undisclosed) che così aggirano l’embargo anche confondendo vari passaggi offshore del carico liquido. Come curiosità, un articolo su Project Syndicate del 18.1.2024 di Anne Krueger, già a capo della Banca Mondiale, segnalava che una compagnia petrolifera greca risultava essere riuscita a vendere petrolio russo perfino al Dipartimento delle Difesa statunitense sotto la maschera del “dual use”!
Una interessante implicazione geopolitica, indesiderata dall’Occidente, delle sanzioni alla Russia è la spinta verso una maggiore cooperazione tecnologica e commerciale tra Russia e Cina, favorita anche dal progetto Power of Siberia 2 che prevede (se saranno superate le attuali divergenze contrattuali sui prezzi agevolati) il passaggio di 100 mdi di mc/anno di gas naturale russo attraverso la Mongolia, che si aggiungeranno ai 67 mdi di mc/anno del gasdotto Power of Siberia 1. La Russia sta diventando sempre più dipendente dalle forniture cinesi di ricambi, semilavorati, componenti e prodotti finiti a contenuto tecnologico medio-alto, fino a toccare l’industria della difesa.
Come detto all’inizio, per un giudizio ponderato sull’efficacia delle sanzioni come “arma economica”, diamoci un po’ di tempo
(Il Sole24Ore, 5 novembre 2024)
Fonte: Il Sole24Ore, 5 novembre 2024