• giovedì , 12 Dicembre 2024

L’imprevedibile Trump e l’arma dei dazi

di Fabrizio Onida

Mancano poche settimane all’insediamento del governo Trump-2, col favore della Corte Suprema (già pesantemente condizionata dalla composizione dei suoi membri segnata dalle nomine di Trump-1), che su richiesta del procuratore speciale Jack Smith si prevede archivierà le 34 accuse pendenti su frodi di massa durante le elezioni del 2020, falso in bilancio e aggressione sessuale.

Oggi una delle poche certezze è la elevata imprevedibilità delle mosse della Casa Bianca dopo il 20 gennaio in tema di politica industriale e delle sue ripercussioni sulla politica economica estera. O meglio: è chiara la cornice marcatamente populista degli slogan come “Buy American” e “Putting American Workers First”, ma è ancora presto per quantificare l’entità e la dimensione geografica dei dazi annunciati contro le merci importate negli Usa dalla Cina, dall’Europa e perfino da Canada e Messico in violazione delle regole dell’accordo di libero scambio NAFTA (oggi USMCA) entrato in vigore dal gennaio 1994. Un capitolo aperto di recente, molto particolare ma che tocca nervi sensibili nella pubblica opinione, è rappresentato dalle importazioni del potente antidolorifico Fentanyl importato in ingenti quantità da Messico e Canada, che dal 2022 avrebbero già provocato più di 75.000 morti da overdose.

Massima è l’incertezza, sia sull’entità dei dazi e dei sussidi che verranno varati dalla nuova amministrazione, sia sulla risposta dei mercati. Per ora si congetturano dazi del 25% su tutte le merci importate, maggiorate del 10% per quelle provenienti dalla Cina.

Quanto ai dazi, sappiamo dalla storia e dall’esperienza che il loro impatto sui prezzi e sui volumi degli scambi dipende molto dalla dimensione economica dei paesi in gioco: quanto maggiore è il peso degli Usa come mercato di sbocco, tanto più i paesi esportatori saranno indotti a difendere la propria quota su quel mercato riducendo i propri prezzi e sacrificando i margini di guadagno. Proprio in questi giorni la presidente Lagarde della Commissione Europea ha evocato i timori di una rappresaglia “tit-for-tat” che alla fine lascia tutti perdenti, invocando un atteggiamento di apertura verso maggiori importazioni dagli Usa di prodotti energetici (incluso il gas liquefatto LNG) e manufatti collegati alla difesa. Parallelamente alcuni produttori europei stanno seriamente considerando l’opportunità di delocalizzare negli Usa parte delle proprie produzioni in sostituzione di precedenti esportazioni da impianti europei.

Quanto ai sussidi del governo americano alla produzione di veicoli elettrici e ibridi, principale oggetto dell’IRA (Inflation Reduction Act), va ricordato che i sussidi, meno distorsivi del mercato rispetto ai dazi e generalmente ben visti dai produttori domestici “incumbents” già affermati, contribuiscono certamente alla crescita della produzione domestica gravando sul bilancio pubblico, ma non necessariamente riescono a convincere il settore privato a investire di più nella direzione vincente dell’innovazione tecnologica di processo e di prodotto, a meno di disegnarli con specifiche vincolanti condizionalità. Senza puntare su progressi tecnologici e qualitativi i medesimi sussidi rischiano di essere un’arma spuntata per difendere efficacemente la competitività nel medio periodo, dato l’affollarsi di vecchi e nuovi paesi concorrenti nelle fasce basse e medio-basse di prodotti e servizi.

Nel complesso è ragionevole prevedere che Trump inizierà mantenendo una linea dura nei confronti della Cina, riservandosi una strategia più morbida (magari di graduale discesa dei dazi nel tempo, che evoca il famoso aneddoto della rana che non si accorge di bollire) per limitare rappresaglie di varia natura che possono colpire imprese statunitensi fortemente interessate a esportare sul variegato e dinamico mercato cinese, da beni di consumo di moda popolare a strumentazione scientifica. E a parte il rischio di rappresaglie commerciali specifiche contro le esportazioni statunitensi, attraverso la sua banca centrale la Cina può rafforzare la propria resilienza nel penetrare i mercati esteri favorendo una temporanea svalutazione del tasso di cambio dello yuan, come già silenziosamente avvenuto nelle ultime settimane.

(Sole 24 Ore 1 dicembre 2024)

Fonte: Sole 24 Ore 1 dicembre 2024

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