• domenica , 8 Settembre 2024

Liberalizzare, la via per crescere

Si sente parlare di piano per la crescita e si pensa a fiumi di soldi. Chi soffre sotto il peso della crisi chiede ai politici di fare qualcosa; questi vorrebbero annunciare qualcosa di concreto e rapido, tanti soldi in poco tempo. Così nasce la grande mistificazione.
Se si usano i risparmi delle famiglie per spese pubbliche improduttive (come abbiamo fatto noi) il paese si indebita e deve destinare parte delle imposte al pagamento degli interessi. Se questi diventano eccessivi e i creditori ne richiedono sempre più alti, deve ridurre i consumi o aumentare la produttività. Ridurre i consumi è presto fatto, basta aumentare le tasse. Ma crescere vuol dire aumentare la produttività, smettere di fare le cose in cui si è meno efficienti e concentrarsi su quelle dove lo si può essere di più, cambiare i modi di produrre e di organizzare il lavoro, investire in formazione. Cose che richiedono sforzi di anni e anni.
Come ricordava anche ieri Raghuram Rajan al convegno di Advantage Financial, abbiamo un problema di debito, non di ciclo economico: ma i potenti della terra preferiscono vendere agli elettori piani di grandi infrastrutture, quelli che in altri tempi si è pensato andassero bene per problemi di ciclo. Ma quali infrastrutture, poi? Per restare a casa nostra: se non si è fatto il ponte sullo Stretto di Messina è perché non tornano i conti, per la Torino Lione è solo per non essere confusi con i No Tav che si fanno sommesse le voci che avanzano dei dubbi, per le autostrade lombarde il decennale ritardo non è dovuto a mancanza di soldi, la rete a banda larga è in ritardo per ragioni connesse con la stabilità patrimoniale di Telecom. Il consuntivo delle grandi opere è sempre un multiplo del preventivo: dal tunnel del Fréjus nell’800, al ponte di vetro di Calatrava a Venezia, passando per l’alta velocità. Per il terremoto dell’Irpinia, i 4 miliardi previsti sono diventati 30.
C’è anche chi (Luciano Gallino) pensa a una mega-agenzia che, assunti tutti i disoccupati, li spedisca a fare tutto ciò di cui si sente la mancanza, dal restauro di Pompei alla ripulitura delle città ai servizi alle persone: dimenticando che tutte le imprese hanno bisogno di un’organizzazione, e che è per carenza di impresa e di organizzazione che ci sono i disoccupati.
L’Europa nel suo insieme è in equilibrio tra quanto produce e quanto consuma. Gli squilibri sono interni. Si sono formati perché si è ritenuto che la moneta comune annullasse il rischio paese, che Maastricht fosse un pranzo gratis. In Italia abbiamo creduto che bastasse un prestito a medio termine (l’eurotassa) e qualche operazione straordinaria (privatizzazioni) per eliminare per sempre il differenziale dei tassi. In Spagna all’idea del pranzo gratis hanno contribuito le banche tedesche, imprestando a tassi che non tenevano conto del rischio paese e finanziando così la bolla immobiliare. In Grecia si è falsificato il conto del ristorante.

Fonte: Sole 24 Ore del 24 maggio 2012

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