È davvero incoraggiante che si investa tanta ardente passione nel conservare o conquistare il governo dell’Italia. Un occhio estraneo se ne stupirebbe perché i prossimi anni saranno estremamente severi per chiunque governerà la politica economica. La politica di bilancio sarà più restrittiva di quanto non sia mai stata nel dopoguerra e la politica monetaria finirà di stimolare la crescita. Entrambe le politiche saranno sorvegliate o dettate da Bruxelles e da Francoforte. In mezzo – Euro, si sa, era il nome di un vento greco – rimane il mare procelloso.
Con la decisione di ieri la Bce avvia una fase di graduale normalizzazione del costo del denaro. Il tasso di riferimento potrebbe salire di 1,5 punti nei prossimi 20 mesi. Ci sono le condizioni: il livello dei prezzi aumenta insieme alle aspettative, l’offerta di moneta si amplia e ci sono segnali, anche se non omogenei, di espansione del credito. Naturalmente l’aumento dei tassi vale sia per i Paesi dell’euro che hanno ripreso a crescere sia per quelli in difficoltà. Saranno questi ultimi, che devono fare un aggiustamento deflazionistico, a soffrire di più. La distanza tra Paesi veloci e lenti rischia di ampliarsi. Con gli accordi del Consiglio europeo di fine marzo invece sono stati fissati paletti di rigore fiscale che, a un calcolo approssimativo, per l’Italia possono significare una correzione di oltre 10 punti di Pil da qui al 2015 a crescita economica invariata. L’impatto restrittivo della correzione di bilancio dipenderà dal moltiplicatore fiscale che a sua volta dipende dal risparmio privato. Poiché il risparmio delle famiglie italiane sta già scendendo da anni, l’impatto restrittivo delle correzioni fiscali potrebbe essere più pesante rispetto a solo pochi anni fa.
Gli accordi europei dovranno tenerne conto, ma il clima non sembra dei migliori per chi cerca deroghe al rigore. Al contrario, la stessa Bce ha annunciato l’uscita dalla politica monetaria di emergenza con segnali che sembrano mirati a chiedere maggiore rigore al Consiglio Ue nell’ambito del riassetto della governance economica. Di fatto la pressione della Bce accentua le ragioni di un controllo reciproco dei Paesi dell’euro in favore di una maggiore disciplina fiscale. Alcuni Stati Ue stanno introducendo norme costituzionali sui limiti del debito (Germania e Polonia) o del deficit (Svezia). Questi Paesi non saranno tolleranti quando, per fermare una procedura di infrazione contro i Paesi poco rigorosi, sarà necessario il voto di due terzi del Consiglio Ue.
In particolare a Washington si teme che l’eccesso di rigore freni la crescita Ue. In effetti il rigore non sarebbe di freno se fosse accompagnato da un assetto istituzionale europeo che garantisse solidarietà ai Paesi che si devono rimettere in carreggiata. Una tale “garanzia” ridurrebbe il premio al rischio e quindi il livello medio dei tassi. I segnali in proposito ci sono, ma i mercati li giudicano insufficienti, così i differenziali d’interesse tendono ad aprirsi ai danni dei Paesi fiscalmente più deboli.
In tale prospettiva l’Italia dovrà porsi obiettivi di avanzo primario molto ambiziosi, almeno pari a quelli del biennio che ha preceduto l’euro. Non solo: l’avanzo primario potrà dover aumentare nel corso dell’esercizio di bilancio qualora i tassi d’interesse ecco ancora l’interazione con la Bce e con la fiducia dei mercati dovessero salire. Non solo i margini di manovra saranno strettissimi, ma l’azione di governo resterà appesa alle notizie sull’area euro.
Al netto della dose di rigore, restano le politiche per la crescita. Si tratta di aumentare la competitività, liberalizzare i mercati, sviluppare tecnologia, accrescere i controlli da parte di autorità autonome dalla politica e rendere socialmente accettabile la flessibilità del lavoro in modo che non si scarichi solo sui precari. Politiche che per molti anni sono rimaste incomplete e che ora dovrebbero essere realizzate sotto stress e senza margini di accomodamento, per esempio per le centinaia di migliaia di lavoratori a cui bisogna restituire l’impiego perduto.
Un indicatore semplice di competitività è il saldo delle partite correnti, se fosse positivo si potrebbe sperare in una crescita “alla tedesca”, da export, ma anche da questo vento non giungono buone notizie. Inoltre l’incertezza della Federal Reserve nel riportare la politica monetaria su un sentiero di normalità può causare un ulteriore effetto restrittivo attraverso il cambio. Infine l’inflazione in Italia a marzo è stata superiore di quasi mezzo punto a quella tedesca, dove la crescita è doppia e il disavanzo pubblico atteso metà del nostro. Ciò potrebbe testimoniare la difficoltà del Paese nel recuperare competitività.
Mentre sulle politiche monetaria e fiscale il controllo europeo sarà più severo che in passato, su quelle che presiedono alla competitività si è rimasti ai meccanismi già utilizzati con modesto successo nella strategia di Lisbona: si adottano principi guida, ci si confronta, si discute educatamente, e poi si torna a casa propria. Da noi tra le mura di casa si parla d’altro. Un dibattito sulla politica economica è in atto invece in tutti i maggiori Paesi. Entro fine aprile il Governo italiano presenterà il nuovo Documento di economia e finanza che includerà anche il programma nazionale di riforma, è l’occasione per capire come finiremo.
Lezioni europee per l’Italia
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