L’allarme della Commissione europea sul livello del debito italiano è del tutto comprensibile. Il debito italiano è infatti il cardine attorno a cui gira la ruota del destino. Non solo il destino italiano, ma quello dell’euro e dell’integrazione europea. Si può discutere se l’allarme sia condivisibile, ma di certo era del tutto prevedibile che per Bruxelles il debito italiano fosse centrale nel giudizio emesso la scorsa settimana.
Il cardine in realtà è il livello del 120% rispetto al pil, cioè il livello del debito italiano quando il fiscal compact fu concepito. Si tratta di un livello coerente con l’altro criterio fondamentale: il pareggio di bilancio. Oltre quel livello – l’Italia è già al 133% – l’architettura del fiscal compact può crollare. L’intera strategia di contenimento dei debiti pubblici e di allineamento delle politiche fiscali nell’area euro può fallire. Il fiscal compact prevede che ogni Paese indebitato riduca di un ventesimo l’eccesso di debito rispetto al 60% del pil. Per chi ha un debito del 120% del pil significa un taglio del 3% annuo (cioè un ventesimo del 60%). Se si registra un pareggio di bilancio come chiede lo stesso fiscal compact – il valore nominale del debito resta fermo anno dopo anno. In tal caso il rapporto tra debito e pil calerebbe da solo, in ragione della crescita nominale del pil. Se l’Italia avesse il 120% di rapporto debito-pil e una crescita nominale del 3% (per esempio una crescita reale dell’1% più un’inflazione del 2%), il governo non avrebbe bisogno di manovre restrittive. Il debito scenderebbe automaticamente da solo. Per i cittadini il valore reale delle prestazioni pubbliche scenderebbe insieme al valore reale del prelievo fiscale. Si immagina che essi siano per almeno qualche anno preda di illusione fiscale, cioè che non si accorgano subito che le stesse pensioni che ricevono valgono un po’ meno a causa dell’inflazione e che poco dopo percepiscano invece che il prelievo fiscale scende a un ritmo ancora più rapido. Tutto cambia però se il debito invece che al 120% sale verso il 140%. In quel caso ridurre di un ventesimo l’eccesso di debito (140 meno 60, uguale 80% del pil) richiede un taglio del 4% annuo. Se la crescita reale è dell’1% e l’inflazione del 2% serve aggiungere ancora, per almeno cinque anni, una manovra restrittiva dell’1%. Se, come prevede la stessa Commissione, la crescita è inferiore e l’inflazione è vicina all’1% allora la manovra correttiva diventa molto pesante: pari ad almeno 2 punti di pil. Se si considera il moltiplicatore fiscale si può dire che per effetto di una tale manovra il pil scenderà di un altro punto percentuale e che quindi nemmeno la manovra aggiuntiva metterà i conti italiani in ordine. I cittadini saranno estenuati dalla dimensione della manovra e indignati per la sua inefficacia. A quel punto l’azione del governo sarà politicamente insostenibile. In conclusione: o si cambia strategia nei confronti dell’Italia (Marshall Plan, deroghe su debito e spesa per investimenti, intervento della Troika) o l’architettura del fiscal compact dovrà essere modificata. Tutto il lavoro fatto a Bruxelles andrà buttato via. Angela Merkel è troppo intelligente per non capirlo, ma è probabile che ci arriverà troppo tardi, quando si dovrà confrontare con l’alternativa che tutti, lei per prima, fanno finta di non vedere: rottura politica dell’euro da un lato o Eurobond dall’altro.
L’Europa cambi linea
Commenti disabilitati.