Due mesi senza ministro degli affari europei e senza titolare del commercio estero. Gli altri vanno avanti. Indovinate a chi non conviene?
Una sola nota sui riflessi delle cronache che arrivano dall’Italia. Ieri a Strasburgo, un quotato esponente del Popolo delle Libertà, ha commentato in modo formidabile (per parte sua) la situazione del premier e dell’Italia.
“Non credo che Berlusconi dovrebbe dimettersi – ha detto – . Penso solo che la sera dovrebbe andare a letto presto”.
Enough about bunga-bunga.
Sennonché si tratta di un insieme di circostanze che ha sollevato una fitta cortina di fumo con cui si coprono questioni non certo irrilevanti.
Sul sito del dicastero che segue le politiche comunitarie, alla voce “ministro” si legge la comunicazione che segue: “Il Ministro per le Politiche Europee, Andrea Ronchi, il 15 novembre 2010 ha inviato al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e al Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, la lettera con cui annuncia le sue dimissioni da ministro”
Sono passati due mesi a rotti. Strano? Per nulla.
Se si va a vedere sul sito del commercio estero, non si trova nemmeno la notizia del ministro che non c’è. L’economia globale avanza, l’America fa 45 miliardi di contratti coi cinesi e noi non abbiamo un responsabile politico in carica che si occupi del problema. Furbissimi.
E il solito disinteresse latitante per le questioni europei, sebbene di qui passi il 70 per cento delle leggi nazionali. Il premier ha evidentemente altro a cui pensare, oltre a tenere calda la poltrona per i futuri scambi di figurine necessari a sostenere un governo dalla maggioranza traballante.
Non è questa la sede per discutere lopportunità politica della mossa. Certo lassenza di un titolare a tempo pieno incaricato di seguire gli affari di Bruxelles è una scelta che potremmo pagare cara. Gli altri lavorano, noi seguiamo a distanza. Il che vale pur per il commercio estero.
Svegliamoci, please. Sennò il bunga-bunga lo faranno a noi.
(A proposito di cinesi. La prima banca dell’ex celeste impero ha appena aperto cinque filiali in Europa, Milano compresa. Saranno le centrali di smistamento di investimenti ingenti, lavamposto di una conquista annunciata. Vorrei che i padani si rendessero conto che il problema di competitività del nostro paese non sono i “tarun” o i cinesi di via Sarpi, ma le corazzate del neocapitalismo con gli occhi a mandarla. E che, per affrontarla, non serve abbracciarsi al Dio Po e chiudersi nelle valli, ma legarsi all’Unione europea, la sola che può far la forza. Lo struzzo, in genere, finisce in pentola prima de leone)
L’euroitalia senza testa
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