Cari colleghi
Questa lettera vi complicherà la vita. Ma la discussione che ne scaturirà ci permetterà di investire meglio nel nostro futuro di giornalisti del Corriere della Sera. E costituirà uno spunto importante per una discussione di carattere generale che la nostra categoria non può rinviare all’infinito. Di che cosa si tratta? In sintesi vi potrei dire: investiamo di più nel giornale e nella qualità, ritorniamo a dare spazio ai giovani, ma ricontrattiamo quelle regole, in qualche caso autentici privilegi, che la multimedialità (e il buon senso) hanno reso obsolete. Con molta fatica, grazie soprattutto al vostro senso di responsabilità, stiamo completando una ristrutturazione dolorosa ma necessaria che non ha messo però in cassa integrazione diretta alcun collega, com’è avvenuto in tutte le altre testate.
Ora si apre una fase diversa, ugualmente impegnativa. Non mi nascondo le difficoltà. Il periodo che attraversiamo è difficile, in tutti i sensi. L’editore è chiamato a investire sul giornale, e sull’intero sistema di diffusione dei suoi contenuti, con una rinnovata attenzione alla qualità e alla promozione di talenti giovani e multimediali. Noi lo incalzeremo con il necessario puntiglio. Parte non secondaria dei risparmi, resi possibili dalla ristrutturazione, deve andare ad accrescere la capacità di penetrazione del giornale nelle diverse aree di diffusione, rafforzandone l’autorevolezza e l’indipendenza, anche con nuovi prodotti allegati. Nell’aggiornamento al piano editoriale sono contenute diverse proposte: dal rafforzamento del fascicolo nazionale a nuove cronache locali, dal nuovo inserto culturale della domenica alle iniziative sul web e sulla tv, all’assunzione di dieci giovani all’anno, attraverso la Rete e la selezione dagli stage universitari. Ne discuteremo a tempo debito. Questa condizione è, per chi vi scrive, irrinunciabile e pregiudiziale a ogni altro sviluppo editoriale, e al proseguimento di ogni forma personale di collaborazione.
Ma vi è una seconda condizione che, con sincerità forse un po’ brutale, io pongo alla vostra attenzione. In questi mesi abbiamo compiuto significativi passi avanti nell’arricchire la nostra informazione, non solo sulla carta, ma anche e in particolar modo sul web. Sono state lanciate nuove iniziative. Edizioni del giornale sono disponibili, per la prima volta anche a pagamento, su Iphone e smartphone. A due mesi dal lancio degli abbonamenti al giornale su Ipad, abbiamo già toccato la soglia delle settemila adesioni, la metà delle quali per un periodo di sei mesi o un anno. Gli streaming di Corriere tv sono ormai largamente superiori a molti, e importanti, canali televisivi. L’industria alla quale apparteniamo e la nostra professione stanno cambiando con velocità impressionante. In profondità. Di fronte a rivolgimenti epocali di questa natura, l’insieme degli accordi aziendali e delle prassi che hanno fin qui regolato i nostri rapporti sindacali non ha più senso. Questo ormai anacronistico impianto di regole, pensato nell’era del piombo e nella preistoria della prima repubblica, prima o poi cadrà. Con fragore e conseguenze imprevedibili sulle nostre ignare teste.
Non è più accettabile che parte della redazione non lavori per il web o che si pretenda per questo una speciale remunerazione. Non è più accettabile che perduri la norma che prevede il consenso dell’interessato a ogni spostamento, a parità di mansione. Prima vengono le esigenze del giornale poi le pur legittime aspirazioni dei giornalisti. Non è più accettabile che i colleghi delle testate locali non possano scrivere per l’edizione nazionale, mentre lo possono tranquillamente fare professionisti con contratti magari per giornali concorrenti. Non è più accettabile l’atteggiamento, di sufficienza e sospetto, con cui parte della redazione ha accolto l’affermazione e il successo della web tv. Non è più accettabile, e nemmeno possibile, che l’edizione Ipad non preveda il contributo di alcun giornalista professionista dell’edizione cartacea del Corriere della Sera. Non è più accettabile la riluttanza con la quale si accolgono programmi di formazione alle nuove tecnologie. Non è più accettabile, anzi è preoccupante, il muro che è stato eretto nei confronti del coinvolgimento di giovani colleghi. Non è più accettabile una visione così gretta e corporativa di una professione che ogni giorno fa le pulci, e giustamente, alle inefficienze e alle inadeguatezze di tutto il resto del mondo dell’impresa e del lavoro.
L’elenco, cari colleghi, potrebbe continuare. E’ un elenco amaro, ma sono costretto a farlo perché, continuando così, non c’è più futuro per la nostra professione. E, infatti, vi sfido a contare in quanti casi sulla Rete è applicato il contratto di giornalista professionista. Tutto ciò deve farci riflettere. Seriamente. Sediamoci attorno a un tavolo, chiedendo all’azienda di assumersi le proprie responsabilità, per stringere un nuovo patto interno all’altezza delle nostre sfide professionali ed editoriali. Ma una cosa deve essere chiara fin dall’inizio. Se non vi sarà accordo, i patti integrativi verranno denunciati, con il mio assenso. Sono convinto che avremo modo di riflettere su questa mia proposta, insieme ai colleghi dell’intera redazione, e di convenire su tutto ciò che è necessario fare per non ipotecare ancora di più il nostro già incerto futuro.
Lettera ai colleghi
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