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Lettera a Pietro Ichino – “Non candidarti,si conta più da fuori”

Caro Pietro, in questi anni, dal 1996, quando ti chiesi di poter presentare in Parlamento le proposte – art. 18, collocamento pubblico, rappresentanze sindacali – contenute nel tuo “Il lavoro e il mercato”, sei stato prodigo con me di idee e di consigli. Proprio ripensando alle esperienze fatte a partire da quel primo episodio, saputo che stai considerando di accettare la candidatura alle elezioni politiche, ti scrivo per chiederti di recedere dal tuo proposito.

Oggi nel Paese c’è, credo, maggiore consapevolezza della necessità di por mano a riforme liberalizzatrici; bisogna cogliere il momento e trasformare la consapevolezza in consenso. Il punto è: che cosa è più efficace, spendersi per cercare di convincere i colleghi, del proprio partito se si é maggioranza, del partito avverso se si è opposizione, oppure smuovere l’opinione pubblica? Le liste di chi entrerà in Parlamento, predisposte dalle segreterie, rispecchieranno equilibri politici. Questi, al momento del voto, conteranno sempre di più delle tue idee. Sarà più efficace combattere in commissione, o scrivere un editoriale sul Corriere? Io non ho dubbi, e l’ho constatato avendo fatto in un certo senso il percorso inverso al tuo, usando il seggio al Senato per scrivere e far conoscere. agli (e)lettori il patrimonio di idee che tu, io ed altri abbiamo la ventura di condividere, e abbiamo contribuito a far crescere in questi anni.

Il Paese ha bisogno di progetti limpidi: tu hai logica affilata, grande cultura giuridica e di analisi economica del diritto. La politica, invece, è anche compromesso: come ci sono tante persone che possono premere bottoni, così ce ne sono tante esperte in questa nobile arte. Compromessi su una parola, su un comma: a volte sull’intero progetto, diventato merce di scambio. Serve Marta, ma è Maria di cui non si può fare a meno; capisco il pragmatismo di Aronne, ma ci vuole Mosè per scrivere le tavole. Come faremo se non resta nessuno a indicare la rotta, a misurare gli scostamenti?

Si sta aprendo una stagione politica nuova. Chiudere la fase del bipolarismo di trincea, degli “anti” viscerali, corrisponde agli interessi dei contendenti, è frutto di intelligenza, non di bontà. L’esito della competizione è incerto, anzi al momento è (ancora) in vantaggio il PdL. Serve al Paese, serve alle idee che ci accomunano, che i chierici non tradiscano il compito di dare il proprio contributo, sia a chi sarà al Governo sia a chi sarà all’opposizione, ad entrambi suggerendo ed entrambi criticando. Non è più il tempo della cooptazione degli intellettuali organici, né quello del massiccio innesto di personaggi della società civile. Oggi invece, alcuni episodi fanno pensare che ci sia, da parte dei politici, la tentazione di non rispettare il confine tra sostenere le idee e cooptare il consenso, e di surrogare l’assunzione di impegni con l’aggregazione di testimoni simbolici. Compito degli intellettuali è non prestarsi a questa tentazione: perché sarebbe un errore, e per gli intellettuali e per i partiti, soprattutto se si aprirà una stagione politica meno segnata da pregiudizi. E perché sarebbe una perdita: i maestri nel nostro Paese sono così pochi, la loro voce deve arrivare chiara e a tutti, non dispersa in polifonie, parlamentari o di parte.

Con amicizia

Fonte: Corriere della Sera del 21 febbraio 2008

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