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Le riforme nell’età dell’incertezza

E’fin troppo facile sparare sul pianista (anche quando non stona). Tuttavia, a mio avviso, occorre dire che nel predisporre i documenti di politica economia approvati dal Consiglio dei Ministri nel pomeriggio del 13 aprile e posti in serata sul sito del Ministero dell’Economia e delle Finanze, l’Esecutivo è stato meno ardito di quanto sarebbe potuto essere. Non ha colto l’occasione offertagli dalla situazione d’incertezza in cui grava l’economia internazionale in generale, l’economia del bacino del Mediterraneo in particolare ed ancora più specificatamente l’economia italiana a ragione di un quadro politico tutt’altro che sereno. Dalla metà degli anni Novanta (quando Avinash Dixit e Robert Pyndick hanno pubblicato uno studio fondamentale in materia, l’incertezza viene considerata, dagli economisti, come un bene pubblico (di cui tutti, cioè, possono fruire) che apre finestre d’opportunità. Il senso di tali finestre d’opportunità non si avverte nei documenti approvati (il programma di stabilità dell’Italia ed il programma nazionale di riforma). Quanto meno non si tocca con mano ad una prima e necessariamente preliminare lettura.
In effetti, pare di leggere un tradizionale Dpf diviso in due parti, ma in cui le riforme, specialmente quelle che potrebbero essere il risultato delle “finestre d’opportunità” derivanti dall’incertezza (per l’Italia e per gli altri) appaiono quasi di sfuggita. C’è, sì, un elenco delle riforme già fatte (ad esempio la previdenza) od in fase avanzata di realizzazione (scuola ed università); a queste ed altre riforme si propongono ritocchi. Vengono annunciati progetti di riforma in materia tributaria, che comporterebbe riscrivere i codici (operazione di lungo periodo), e l’introduzione di fiscalità di vantaggio per le aree in ritardo (che richiede un negoziato non facile con il resto dell’Unione Europea) ma poco o nulla c’è in materia di liberalizzazioni, privatizzazioni, mercato del lavoro. Se c’è sostanza è celata nel centinaio di pagine dei due documenti (utile ricordare che quanto venne creato il Dpf si stabilì che non dovesse superare le 100 pagine proprio per non diventare un testo per archivi, come la Relazione Previsionale Programmatica, letto unicamente dai funzionari chiamati a redigerla).
Si sarebbe potuto fare di più e di meglio? Credo di sì. L’incertezza, ad esempio, sarebbe potuto essere il grimaldello per mettere ordine nella normativa sul mercato del lavoro prevedendo, da un lato, una strada per giungere a contratti a tempo indeterminato e, da un altro, ad una revisione della disciplina sui finanziamenti. Avrebbe anche potuto essere il motore per dare indirizzo di governo (e se del caso prevedere normativa) per liberalizzazioni specialmente a livello locale. Avrebbe pure potuto essere lo stimolo per una nuova ondata di privatizzazioni. L’Italia è in mezzo ad un guado. L’incertezza avrebbe dovuto incoraggiare ad arrivare ad una nuova sponda. Visto che è impossibile tornare indietro a quella da cui si è partiti.

Fonte: Il Velino del 14 aprile 2011

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