• domenica , 22 Dicembre 2024

Le riforme incomplete non salvano l’eurozona

Al vertice di giugno il Consiglio Ue aveva trovato il modo per rompere il circolo vizioso tra banche e debito pubblico che da quattro anni minaccia di affondare l’unione monetaria. Approvando l’istituzione di un sistema unico di supervisione bancaria e la ricapitalizzazione diretta delle banche da parte del Meccanismo di Stabilità Europeo (Esm), era sembrato, per la prima volta, che il Consiglio Ue riconoscesse che la storia della crisi europea non si riduceva all’indisciplina fiscale di pochi Paesi periferici da curare con austerità punitiva, bensì a un problema comune da risolvere insieme.
Fin dai giorni dopo il vertice si era aperta però una serie imbarazzante di prese di distanza. Anche l’aiuto alle banche infatti ha una natura fiscale: bisogna mettere nelle banche risorse comuni in modo da non aggravare il debito dei Paesi già in difficoltà. I mesi successivi hanno dimostrato, se ce n’era bisogno, che da un punto di vista politico le due istanze – quella bancaria e quella fiscale – non sono facilmente compatibili. I Paesi creditori vogliono garanzie che i Paesi debitori non tornino a bussare alla porta anno dopo anno. In pratica dicono: c’è un problema di azzardo morale, quindi vi daremo i soldi, ma possibilmente solo quando non ne avrete più bisogno.
L’annuncio della Bce ad agosto di essere pronta a contrastare la crisi con i propri mezzi ha offerto un alibi ai governi che hanno ancor più rallentato il passo della soluzione. La crisi così è rimasta viva e ha segmentato ulteriormente il mercato finanziario europeo. Senza banche solide, il credito nei Paesi periferici si è fermato e insieme alle economie è caduta anche la fiducia nella sostenibilità del loro debito pubblico.
Così nel giro di quattro mesi la storia della crisi è tornata ad essere quella di sempre, per la quale la responsabilità di tutto è nel debito di Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna e Italia. Purtroppo la posizione dei Paesi più solidi, che vede ogni radice del male europeo nei debiti meridionali, frena il processo. Al presidente francese Hollande che è arrivato ieri a Bruxelles chiedendo subito l’unione bancaria, la cancelliera Merkel ha risposto proponendo poteri incisivi alla Commissione europea tali da poter bocciare le leggi di bilancio nazionali. Quanto alla vigilanza bancaria dovrà essere messa alla prova e dimostrare di funzionare prima che si mettano in comune nuove risorse finanziarie. Per Berlino è illusorio attenersi alla scadenza prevista del gennaio 2013.
Il vertice di Bruxelles di queste ore, definito come interlocutorio, è invece importante per superare un’impasse nel negoziato sull’unione bancaria in attesa della quale intere economie si stanno avvitando. È un’impasse comprensibile per la complessità dei temi. Bisogna decidere su quanti e quali banche l’Esm eserciterà la sua vigilanza; considerando che esso fa capo alla Bce è probabile, in base allo statuto della banca centrale, che potrà vigilare solo sulle banche dell’area euro. Ma in tal caso il nuovo organismo potrebbe essere responsabile delle proprie azioni di fronte non al Parlamento europeo, ma a un suo sott’insieme limitato all’eurozona, con il rischio di aprire una grave frattura nell’Ue. Altri problemi riguardano i tempi di attuazione, il rispetto del Mercato unico e i rapporti tra l’organo di vigilanza e il fondo di stabilità che dovrà procedere alle ricapitalizzazioni delle banche. Come si vede, natura e dettagli dell’unione bancaria sono difficili da disegnare, tuttavia la logica del negoziato è chiara: si procede abbastanza velocemente verso l’istituzione di un Meccanismo unico di supervisione, ma è più problematica l’approvazione di tutto ciò che ha un risvolto fiscale, dal sistema di risoluzione delle crisi allo schema di garanzia dei depositi bancari.
Il Consiglio Ue che si chiude oggi deve districare questa matassa nel contesto di un progetto di lungo termine sul futuro dell’eurozona. Il rapporto sul futuro dell’unione monetaria di cui i capi di governo hanno discusso vede una sequenza temporale – «una road-map specifica e definita nei tempi» – tra unione bancaria e unione fiscale. Ma quello che questi mesi dimostrano è che i due temi – unione bancaria e unione fiscale – quasi sempre si sovrappongono, al punto che è difficile essere credibili nell’unione bancaria senza esserlo in quella fiscale, cioè sulla messa in comune di risorse finanziarie. In questo Berlino vede bene, bisogna discutere sia di unione bancaria sia di unione fiscale, ma purtroppo anziché accelerare entrambe, Merkel vuole rallentare l’unione bancaria.
Per arginare il problema, Germania e Francia hanno aperto il capitolo di un mini fondo per l’eurozona finanziato attraverso la Tobin Tax. Qualcuno lo considera un pasticcio al quadrato. Le proposte di Parigi e Berlino sono diverse e incompatibili e in realtà non sono nemmeno proposte formali. Al punto che è evidente che per Berlino hanno l’utilità primaria di evitare che qualcuno si ricordi delle proposte degli eurobond.
Queste resistenze ad affrontare in modo trasparente il salto di qualità fiscale che a parole tutti invocano è un gioco di fumi e di specchi. Si lavora in punta dei piedi “a trattati costanti” sapendo che appena si procederà – inevitabilmente – alla riapertura dei Trattati europei per garantire all’unione monetaria una giusta cornice istituzionale, la Gran Bretagna cercherà una via di fuga dall’Unione europea. Nel giro di due anni, si arriverà a ridiscutere l’intera struttura del progetto europeo, a cominciare proprio dall’unione fiscale. Tutti lo sanno ma tutti fischiano nel buio facendo finta di niente.

Fonte: Sole 24 Ore del 19 ottobre 2012

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