Con la proposta di restituire competenze allo Stato i Governatori hanno dimostrato quale sia veramente la loro concezione di federalismo: godere di unampia autonomia purché alle spalle ci sia lo Stato con il suo “pronto cassa”: comandare, disporre e mandare il conto a Tremonti. Anche a costo di rinunciare al ruolo di alta amministrazione che la sciagurata riforma del Titolo V della Costituzione ha affidato alle istanze regionali.
Naturalmente ci auguriamo che, nellambito della manovra di bilancio,il Governo trovi un giusto compromesso con le Regioni e gli Enti locali.Ma lultima vicenda di questo confronto è abbastanza deludente.
Infatti, con la proposta di restituire competenze allo Stato i Governatori hanno dimostrato quale sia veramente la loro concezione di federalismo: godere di unampia autonomia purché alle spalle ci sia lo Stato con il suo “pronto cassa”: comandare, disporre e mandare il conto a Tremonti. Anche a costo di rinunciare al ruolo di alta amministrazione che la sciagurata riforma del Titolo V della Costituzione ha affidato alle istanze regionali.
Per anni, le Regioni, approfittando delle ambiguità del nuovo testo (che ha moltiplicato le competenze “concorrenti” tra Stato e Regioni) hanno intasato la Corte costituzionale di ricorsi per contestare i poteri che le leggi affidavano allo Stato, paralizzando così molte attività e colpendo al cuore talune leggi importanti, anche nel campo sociale.
Poi è arrivato lEldorado del federalismo, in base al quale le Regioni sarebbero diventate nello stesso tempo responsabili di sé, delle popolazioni amministrate e dei servizi erogati, sia sul versante delle entrate che della spesa. Unoperazione siffatta comporta necessariamente unequa ripartizione del gettito fiscale tra Stato e Regioni, oltre ovviamente lesigenza di prevedere meccanismi di solidarietà e di riequilibrio tra i differenti contesti territoriali più o meno sviluppati e quindi maggiormente dotati di capacità reddituale. Questa operazione non ha mai trovato una soluzione compiuta nonostante il lavoro delle commissioni tecniche che hanno provato a ripartire lammontare delle risorse tra Stato e Regioni.
Ora questo balletto è arrivato ad un punto di non ritorno: la legge delega sul federalismo è stata approvata e sono in lavorazione i decreti legislativi, compresi quello riguardante il cosiddetto federalismo fiscale. Nel frattempo, è arrivato il momento di ridurre non solo la spesa pubblica, ma anche il perimetro dello Stato. E le Regioni e le Autonomie locali sono chiamate a dare il loro contributo. La manovra, pero, si è fatta carico di coprire interamente la spesa sanitaria che è tantissima parte dei bilanci regionali e che è il punto critico nel rapporto con le popolazioni amministrate. I risparmi vanno fatti quindi sulle altre voci di spesa.
I Governatori ribadiscono che i tagli sono eccessivi, ma da loro non vengono segnali di disponibilità ad affrontare politiche di contenimento delle spese generali e di quelle del personale. Lo stesso discorso vale anche per gli Enti locali, i quali hanno qualche ragione in più per lamentarsi, visto che il patto di stabilità impedisce loro di avvalersi degli eventuali fondi disponibili, per motivi di contenimento della spesa pubblica.
Al di là di come finirà lattuale conflitto tra le istituzioni, il Paese deve misurarsi con alcuni luoghi comuni duri a morire: lo Stato è cattivo, le Regioni ed i Comuni sono buoni (non le Province chesecondo i soliti luoghi comuni – devono essere abolite tout court). A rinfocolare queste convinzioni hanno concorso diversi fattori.
Nella prima Repubblica era il Pci a valorizzare le virtù delle amministrazioni regionali e locali, dove la sinistra era al potere e a criticare lo Stato perché “democristiano”. Una valutazione che si estendeva a tutte le Amministrazioni centrali. Si pensi alla vicenda delle Mutue, svillaneggiate nei film e sui quotidiani, mentre quando vennero costituite le Asl, Enrico Berlinguer parlò di “elementi di socialismo”. Poi sono venuti i leghisti a teorizzare le virtù del Nord e delle sue istituzioni locali a criticare, con “Roma ladrona”, il potere centrale, in mano ai vecchi partiti e ai loro legami con la pubblica amministrazione. Così il “mito” del buon governo locale è proseguito anche nella Seconda Repubblica. A prescindere dalle esperienze concrete e dalla valutazione degli atti politici compiuti.
Se fossimo seri e obbiettivi dovremmo riconoscere che le amministrazioni regionali sono mediamente peggiori di quella centrale, anche se si mettono a confronto soltanto le funzioni delle strutture periferiche. Eppure tutti si dichiarano federalisti, anche se del federalismo si danno interpretazioni differenti. Poi, alla prima difficoltà sono i Governatori a voler restituire allo Stato gran parte delle loro funzioni, anche a costo di trasformarsi così in una super Asl che amministra le risorse ricevute dallo Stato.
Le Regioni vogliono essere una super Asl senza funzioni ma molti soldi
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