Il parere dei servizi giuridici della Bee non lascia adito a dubbi: “Il mandato scade il 31 maggio 2013. Le dimissioni devono essere il risultato di un esercizio di libera volontà, non influenzato da qualsivoglia pressione politica”, La forma conta e formalmente la posizione di LBS è ineccepibile. Senza dimenticare il criterio dell`indipendenza, scritto nero su bianco nei trattati, al quale si aggiungono “reputazione e credibilità agli occhi dell`opinione pubblica e dei mercati”, secondo i legali dell`Eurotower.
Dunque, Bini Smaghi ha ragione in punta di dottrina e di etica professionale. Anche se qualche dubbio sulle regole resta legittimo, perché la Bce nasce con un peccato originale, consumato nella notte del 3 maggio 1998, con il patto della staffetta. Al vertice, la Francia voleva fin dall`inizio un proprio uomo. E` l`eredità dell`accordo tra Fran4ois Mitterrand é I3elmut Kohl: la sede in Germania, il comando a un francese.
Wim Duisenberg aveva gestito bene la transizione, era il candidato naturale, appoggiato dai tedeschi. Ma Jacques Chirac batte i pugni e l`olandese viene costretto a dichiarare che a metà mandato, nel 2003, “per ragioni personali”, lascerà il testimone a Jean-Claude Trichet, governatore della Banque de France.
Certo, una colpa per quanto grave non basta a marchiare per sempre l`istituzione.
Eppure, proprio l`esperienza di questo de cennio ci mostra quanto opaca sia la realtà.
Nel 2000 la magistratura parigina apre un`inchiesta sul crac del Crédit Lyonnaís, il più grave scandalo bancario europeo, un intreccio di politica e finanza. Dov`era Trichet? Nel gennaio 2003 viene rinviato a giudizio, proprio quando è matura la staffetta con Duisenberg. E con Christian Noyer, vicepresidente della Bee, destinato a prendere la poltrona di Trichet all`IJàtel cle Toulouse a Parigi. I due grand commis si erano già scambiati il posto di direttore generale del Tesoro nel 1993, entrambi uomini vicini al centro liberale di Valéry Giscard d`Estaing e protetti di Edouard Balladur. Tecnici sì, però non apolitici.
Ma veniamo all`attualità. Il 9 settembre scorso, quando Júrgen Stark getta la spugna di fronte all`acquisto di titoli di stato dei paesi in difficoltà (tra i quali i Btp italiani), il ministro delle Finanze, Wolfgang Schiiuble, nomina in un batter d`occhio il suo fidato consigliere Jòrg Asmussen, nonostante abbia la fama di socialdemocratico. E il 16 febbraio, quando Axel Weber, orripilato dalla deriva lassista che sta prendendo a suo parere la politica monetaria in Europa, se ne va sbattendo la porta della Bundesbank per non diventare complice (e mettersi in pista per la plancia di comando in Deutsche Bank), Angela Merkel sceglie senza colpo ferire il suo ascoltato consigliere Jens Weidmann.
Nicolas Sarkozy non può sopportare che nessun francese faccia parte del comitato esecutivo. Non è solo orgoglio, ma difesa degli interessi nazionali: la Francia spera che l`accordo tra il premier Silvio Berlusconi e il presidente francese Nicolas Sarkozy sul caso Bini Smaghi venga rispettato al più presto possibile, hanno (letto ieri fonti diplomatiche francesi. I capricci di Sarko e i sospetti tedeschi aumentano la pressione.
A questo punto, è in gioco l`equilibrio interno e la capacità operativa della banca, proprio nel momento in cui passa nelle mani di Mario Draghi. E il rigoroso rispetto della forma, nella sostanza, rischia di diventare una ripicca.
Bini Smaghi sostiene che non avrebbe potuto accettare la posizione di direttore generale della Banca d`Italia, una chiara diminutio. Le dimissioni possono essere so lo volontarie,`argomenta LBS, se vengono chieste per onor di patria, ebbene quel senso di responsabilità va tenuto in adeguata considerazione. E tuttavia, il modello francese non è esattamente un compor tamento ideale. Tanto meno attaccarsi alla poltrona per avere solo e soltanto quella di governatore. I parlamentari lo fanno? Nel loro caso (ragioni di opportunità o di etica personale a parte) il mandato nasce da uii voto popolare. Per un public servant pro viene da una nomina governativa (come ha ricordato senza mezzi termini Silvio Ber lusconi a “Porta a Porta” e ribadito ieri sii Canale 5, “Bini Smaghi lasci”, ha detto il premier), anche se irrevocabile fino al termine dei mandato.
Bini Smaghi, dunque, ha ragione a metà, La norma è dalla sua parte, la realtà gioca contro di lui. E poi c`è quella telefonata del 18 giugno scorso con il presidente francese e l`incauta promessa. “Roma rispetti gli in i pegni”, dice Parigi. I patti vanno mantenuti anche quando sono “scellerati”? Un dilemma morale irrisolvibile. Tanto più se si accetta la realpolitik che guida le relazioni internàzionali e gli uffici pubblici, un mondo in cui i problemi vanno risolti, non creati.
Le ragioni e i torti di Bini Smaghi e le attese di Cav. e Sarko
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